STORIA D’INCINO

 


   Circa 120.000 anni fa avvenne la quarta glaciazione detta di Wurm, i ghiacciai muovendosi molto lentamente (qualche millimetro al giorno) invasero anche il nostro territorio occupandolo fino ai 600 metri(pressappoco all’altezza dei Prà), da questo mare di ghiaccio spuntava alcune cime di monti: cima Campo e il Col del Gallo.Furono i ghiacciai ad erodere la forra che separa Incino dal Corlo come separarono il monte Grappa dall’altipiano di Asiago che allora erano un blocco unico.Ritiratosi i ghiacciai, circa 15.000 anni fa, anche nel nostro territorio giunsero i primi uomini che provenivano dalla pianura Padana, e cominciarono risalire le montagne approfittando del visibile miglioramento del clima, come prima via di penetrazione sicuramente fu la valle dell’Adige: Trento, Castel Tesino, Col Perer e Mellame, da escludere la valle del Brenta impraticabile fino al medioevo e il Feltrino perché la zona della Culliada e la piana di Fonzaso fossero state acquitrinose e forse formassero un lago. I primi uomini erano cacciatori e rimasero per millenni praticamente indisturbati, unico nemico era l’orso delle caverne padrone indisturbato dei boschi che ricoprivano tutto il territorio e al quale nessun altro animale selvatico era in grado di opporsi. Uno scheletro d’orso fu trovato una quarantina d’anni fa a San Donato Ed è esposto nel municipio di Lamon, Anche ad Arsiè n’emerse uno durante i lavori di costruzione della centrale idroelettrica, ma le ossa andarono disperse. E Incino? Anche da noi è rimasta una testimonianza del passaggio dei ghiacciai, si tratta di un “masso erratico”, un blocco di granito che non ha niente da che vedere con le rocce dei nostri luoghi, questo masso si trova nella valle di Ampollina alto circa tre metri e due di diametro prelevato chissà dove trasportato per millenni dal ghiacciaio che sciogliendosi lo ha depositato in quel posto e tuttora rimane, dimenticato, ma c’è.Per capire le origini d’Incino bisogna esaminare la situazione del territorio vicino, Cismon: intorno al 100 avanti Cristo i romani conquistarono la vallata del Brenta (allora chiamato Medeacus) poco si sa della presenza dei Veneti, Cimbri, Reti, Etruschi e altre popolazioni che allora abitavano sulle nostre montagne vivendo di pastorizia, di caccia e di una striminzita coltivazione della terra. L’attuale zona occupata dal Cismon era un gigantesco acquitrino, i fiumi Brenta e Cismon (c’era la vallata, ma non il torrente) avevano una portata molto maggiore dell’attuale e la piana di Cismon era una spoglia distesa di sassi e ghiaia. Nel 49 a.C. Cesare estese a queste popolazioni la cittadinanza romana. I Romani occuparono la zona ora detta Rochetta e vi edificarono una roccaforte, di questo oltre ai ruderi murari, rimangono due bronzi che rappresentano Mercurio ed Ercole che si trovano nel museo di Bassano, e furono rinvenuti durante i lavori per la costruzione del Forte Tombion iniziati nel 1884.Feltre: i Romani giunsero intorno al 172 a.c. e operarono una vera e propria conquista del territorio tra il 110 e il 30 AC.  Arsiè fu inclusa nel municipium Di Feltre che giungeva fino alla confluenza del Cismon  con il Brenta. Per quanto riguardava Incino, Corlo, Carazzagno già abitavano nuclei di cacciatori che non passarono all’agricoltura. Poche capanne e pochissimi residenti con l’unico vantaggio di avere terreni sopraelevati e comunque al riparo dalle bizze del torrente Cismon.In questo periodo poco si sa d’Incino ma il ritrovamento in Somanzin d’alcune monete romane trovate nel dopoguerra fa pensare che se non proprio abitato, Incino sia luogo di passaggio. A proposito la Strada Cismon- Incino, che prima della costruzione nel 1914 della variante Pala della Renga, arrivava ai Rigoti era nota in tempi romani col nome di “Via Longa” denominazione che fu conservata fino all’inizio del 1900 Anche il nome Somanzin inteso come “sopra Incino” fa ipotizzare che un nucleo di misere abitazioni si trovasse dove oggi c’e il Capitello e giustificherebbe il successivo termine di Pedancino.ai piedi del monte Incino. Alcuni studiosi ritengono che i primi abitanti di San Vito giunsero da Incino e facessero parte dei nuclei familiari posti a guardia della strada romana.

Medio evo

453 gli unni guidati da Attila saccheggiano l’Italia del Nord, penetrando dal Friuli distrussero Feltre, saccheggiarono e incendiarono Arsiè e Fastro. I nostri vecchi asserivano con una punta d’orgoglio che ad Incino passò Attila, ma il fatto non fu proprio accertato.

568 i Longobardi invasero l’Italia e iniziarono a costruire i primi castelli Collegati a vista compresi quelli d’Incino, Rocca, Arten, Bastia d’Enego, più una torre ai Roveri di San Vito. Le vicende del castello d’Incino coincidono con quelle di Rocca, gli scopi militari furono gli stessi, le differenze erano nel fatto che entrambi, ora l’uno ora l’altro a seconda che gli invasori provenissero dalla Vallata del Brenta o da Feltre, dovevano sopportare il primo urto nemico, dove sorgeva questo castello ( la sua presenza e documentata) non è chiara. Chi lo pone nell’attuale paese altri in località “il Cristo”( dove esistono avanzi di vecchie costruzioni appartenenti a primitivi abitanti).

594 ottobre-novembre: interminabili piogge torrenziali provocano inondazioni e distruzioni che sconvolgono il territorio fertrino, tanto che la gente ritiene giunto un nuovo diluvio universale. Tutta la piana di Fonzaso è sconvolta da allagamenti e avviene una radicale modificazione morfologica che provoca la definitiva deviazione del torrente Cismon che da tributario del Piave vira il proprio corso verso Arsiè, Rocca e va a confluire nel fiume Brenta come lo si vede ora.

813 (o 795 secondo altri) papa Leone III andando a Magonza (allora il più Importante centro religioso tedesco) si fermò a consacrare la chiesetta di santa Maria del Pedancino presso Cismon ( allora dipendente dalla pieve d’Arsiè).

La leggenda vuole che il culto di questa Madonna sia nato da un atto miracoloso. Un giovane pastore che badava ad uno striminzito gregge di pecore, Vide su un biancospino una gran luce e avvicinatosi scorse l’immagine della Madonna con il Bambino. Il pastore che era sordomuto riacquistò miracolosamente la voce e corse ad avvertire i pochi abitanti delle casupole vicine perché accorsero a vedere il miracolo. Nacque così il culto della Madonna del Pedancino, la tesi più accreditata fu, che, all’epoca (717-802) imperversando L’iconoclastia (proibizione del culto delle immagini sacre e la distruzione di quelle esistenti) un fedele ( un monaco?) della chiesa orientale volle portare in salvo l’immagine alla quale era legato e per motivi sconosciuti il suo pellegrinare, si concluse ai piedi d’Incino. Incursione degli Ungari: l’oratorio viene saccheggiato. Questo oratorio dipendeva fin dall’anno 850 dalla pieve d’Arsiè che fu la Madre di tutte le chiese vicine.

1245 Ezzelino da Romano conquista i castelli di Rocca e Incino e gli affidava a Rate da Fonzaso uno dei suoi uomini più fedeli.

1269 il 3 novembre un terremoto causò gravi danni in tutto il Feltrino, è la prima notizia storica di terremoti nel nostro territorio.

1420 il territorio d’Arsiè è conquistato da Venezia, il castello d’ Incino figura nell’elenco delle fortificazioni esistenti insieme al castello di Rocca, Mellame, Tol e la torre dei Roveri. Un anno dopo, il 21 aprile, Venezia per reprimere gli atteggiamenti autonomisti locali, decreta la distruzione di tutti i castelli d’Arsiè e quello d’Incino fu subito demolito.

1485 si diffuse in tutto il Feltrino un’epidemia di peste, è in questa circostanza che nacque e si consolidò il culto della Madonna della Salute che anche ad Incino fu sempre venerata con grande intensità.

1488 si ha la relazione scritta della prima visita pastorale di un vescovo di Padova, il 10 ottobre il vescovo Pietro Barozzi fu a Cismon e il cancelliere Vescovile così parlò del Pedancino: andando oltre Cismon e mettendosi contro la corrente del fiume, quasi sotto la stessa riva s’ incontra un sacello edificato al nome della Beata Maria nel luogo che si dice “Pedansin”.

1513: il trentino Cristoforo Calepino, per conto dell’imperatore Massimiliano d’Austria, occupa Feltre, la popolazione locale chiede l’intervento di Venezia che invia un reparto armato al comando di Giovanni Brandolini, il Calepino snidato fugge devastando dove passa, si apre un varco per Arsiè, Rocca Incino, ma viene catturato a Valstagna.

1522 è introdotto nelle nostre vallate la coltivazione del fagiolo.

1589: il sei giugno la regola d’Arsiè decise la costruzione di uno sbarramento sul torrente Arig, ai lavori sono designati cinque uomini uno si chiamava Lorenzo di Donà Zancaner ( per la prima volta risulta scritto un nome che assomiglia alla forma attuale di Zancanaro).

Nel 1613, introduzione del granoturco nel Feltrino e la polenta divenne subito un alimento primario sulle parche tavole, ma era un’alimentazione incompleta perché priva di vitamine per questo la pellagra era un problema ricorrente. Il sale invece non è mai mancato perché era la stessa Venezia a commercializzarlo guadagnandosi sopra lautamente.

Il 1629 fu un anno di carestia seguita nel 1630 dalla peste descritta da All.Manzoni nei Promessi sposi, alcuni storici affermano che le nostre zone non furono colpite, ma un attento esame dei registri parrocchiali d’Arsiè dimostra L’incontrario: Arsiè ( con Rocca e Incino) passò da una media annua di 27 morti a 72 morti l’anno successivo.

1651-1652 in quest’inverno nel territorio d’Arsiè cadde tanta neve da sfondare i tetti delle case e rovinare le strade, crollò sotto il peso della neve il ponte del Pedancino a Cismon.

1653 per dare la possibilità a Venezia di finanziare la guerra contro i Turchi, il 5 settembre il papa Innocenzo X concesse il primo diritto di decima da versarsi metà a luglio e metà ad ottobre, la chiesa d’Arsiè pagò la somma di 116 lire.

1666 il 17 ottobre fu istituita la festa delle “anime purganti” poi detta più semplicemente delle “Anime”.

1670 la popolazione d’Arsiè consisteva in 600 foghi (famiglie) con 6 sacerdoti, gli abitanti delle frazioni avevano l’obbligo di portare i loro figli ad Arsiè per essere battezzati, pure i defunti dovevano essere portati nel capoluogo per la sepoltura.

1672: il 12 ottobre il vescovo di Padova san Gregorio Barbarigo in visita pastorale lungo la val Brenta, mentre stava traghettando il fiume per recarsi ad Enego, stava per essere travolto da un grosso masso che si era staccato dal dirupo d’Incino vicino alle Casere, il santo invocò il nome di Gesù e alzò la mano in segno di benedizione, il sasso si disintegrò e soltanto la mula del cancelliere vescovile rimase ferita, il fatto è pura leggenda, ma così si ha la certezza che in tale data esisteva già la borgata Casere.

1674: il 27 ottobre un decreto vescovile decreta l’erezione della parrocchia di Rocca, Incino Corlo staccandola dalla pieve d’Arsiè. Primo parroco fu nominato don Simone Rizzon. Nel decreto di nomina era fatto obbligo al parroco oltre alla normale attività (messe, dottrina cristiana ecc, ) di spiegare il catechismo ai pastori, e fossero fatte imparare le preghiere nella lingua italiana e non come si faceva prima in dialetto. Sempre nel 1674 fu costruito a Rocca il primo cimitero ove furono subito portati tutti i morti d’Incino, prima ancora le sepolture avvenivano ad Arsiè.

1766 un gruppo di malviventi si riunisce in banda e mettono nel terrore Enego Foza e tutto il canale del Brenta e dilagano anche nel Feltrino e in alcune zone del trevisano. A capo della banda sta Marco Antonio Bertizzolo detto Alban o Bano. Aveva la base ad Enego, ma poteva contare su basi sicure ad Incino Corlo Fastro e Zanetti e in valle di Seren. Pareva imprendibile, Venezia Ordinò di stanarlo, ma inutilmente finchè una grossa taglia fece effetto, stava giocando a carte a Primolano, quando una spia ne segnalò i movimenti, le guardie a cavallo fecero irruzione, Bano riuscì in un primo momento a fuggire e tentò di ritornare ad Enego, inseguito, fu ferito ad un piede e catturato,fu trascinato di nuovo a Primolano dove morì dissanguato. Le guardie si apprestarono a ritornare a Bassano a riscuotere la taglia, ma furono intercettate a Valstagna e vennero annientate, ma le gesta di Bano finirono e i suoi uomini si dispersero, alcuni passarono nel territorio d’Arsiè, ma Venezia ordinò al capitano Di Feltre Antonio Crotta di ripulire la zona d’Incino, Rocca e Corlo, durante una battuta al ponte che da Incino porta al Corlo fu catturato il bandito Pietro Guerra grande amico di Bano, incarcerato prima a Feltre poi a Venezia sarà impiccato in Piazza San Marco.

1694 il 24 febbraio il soldato Antonio N. da Cividale del Friuli d’ettà d’anni 34 incirca fu ferito in Incin mentre era con compagni per fare una retenzione (retata) e  morì due hore doppo.

1700 il 23 maggio si registra ad Incino una doppia tragedia, muoiono Lucia Zanchanaro di circa 36 anni, moglie di Giacomo, con suo figlio Domenico di anni 8 circa, entrambi restarono sepolti nel crollo della loro casa, avvenuta poco prima di mezzanotte. Da notare che non ci sono errori ortografici è stato riportato l’italiano di allora, curioso come è riportato il cognome Zancanaro: dal 1700 al 1744 era scritto Zanchanaro, mentre l’attuale cognome Nardino era scritto Nardin.

1745 fine luglio: visita pastorale ad Arsiè del vescovo di Padova cardinale Rezzonico (futuro papa Clemente XIII) l’allora arciprete don Giovanni Forcellini informò il cardinale, di un grave abuso delle contrade del Corlo e Incin che non mandavano i loro ragazzi a scuola di dottrina a Rocca. Altre lamentele perché gli abitanti di Rocca e Incin invece di partecipare alle processioni organizzate da Arsiè per implorare la pioggia nei tempi di siccità, usassero andare a Santi fuori dal territorio della pieve ( probabilmente si recavano a San Vito ad invocare i Santi Martiri. ). In quell’anno Rocca e Incino avevano 1001 abitanti, la gioventù era vivace e aveva la brutta abitudine di recarsi a messa ornata di fiori.

1748: il 18 agosto dopo una settimana continua di pioggia che ingrossa a dismisura il torrente Cismon, un’enorme massa d’acqua si abbatte su Cismon: 37 case furono abbattute gravemente danneggiata la chiesa parrocchiale di san Marco, la chiesetta del Pedancino al Ponte viene distrutta e la statua della Madonna viene trascinata fino a Frivola di Pozzoleone. Qui fu ritrovata intatta e nei giorni successivi venne riportata a Cismon con grande commozione della popolazione che ritenne miracoloso il ritrovamento. Per questo in seguito furono organizzati i decennali che sono celebrati tutt’oggi. Quello che nessuno ricorda è che la chiesetta del Pedancino si trovava nella parrocchia di Rocca ed era tributaria della pieve d’Arsiè. Allora il comune di Rocca arrivava ad occupare tutta la riva destra del Cismon, infatti, nei successivi decennali la messa è celebrata da un prelato, ma il parroco di Rocca ha diritto di assistervi come diacono, perché al momento della grande fiumana il santuario apparteneva alla sua parrocchia la quale è figlia di S. M. Assunta d’Arsiè.

1785 in tutto il Feltrino inizia la coltivazione della patata.

1809 Gli austriaci cacciarono i francesi dal Feltrino, dopo un tafferuglio in piazza ad Arsiè, una compagnia napoleonica per riparare più presto possibile a Bassano passò per Rocca e Incino.

1815 Caduto Napoleone, si tenne a Vienna un congresso tra i vincitori per instaurare un nuovo ordine in Europa, tra tante decisioni una ci riguarda: la Lombardia e il Veneto furono assegnati all’Austria e Incino con tutto il territorio d’Arsiè fu inglobato nell’impero austro-ungarico. Subito fu istituita la provincia di Belluno dotata di vera autonomia amministrativa. La provincia fu divisa in distretti e comuni, il sesto distretto (capoluogo Fonzaso) comprendeva i seguenti comuni:

1) Fonzaso e Arten. 2) Arsiè. 3) Rocca con Incino, Fastro e San Vito. 4) Mellame e Tovio (Tovio era l’antico nome di Rivai), 5) Lamon. 6) Arina. 7) Servo e Sorriva.

Al tempo in cui Rocca era comune, il consiglio comunale era chiamato “ regola” ed era formato da 20 uomini fra di essi 4 erano zuradi (responsabili dell’ordine pubblico e della sorveglianza dei foresti) 2 erano saltari (guardie boschive e campestri) 2 cercamainenti (custodi dei confini e pacificatori nelle vertenze confinarie), 2 massari ( esattori delle tasse e amministratori dei beni delle chiese e confraternite, nonché sorveglianti delle cassette delle elemosine che erano aperte ogni sei mesi), 1 quaderniere (segretario comunale con il compito di registrare tutte le decisioni prese). La regola che di solito si riuniva alla vigilia di qualche festa religiosa era presieduta dal mariga ( sindaco) che esercitava il controllo sui beni comunali, ripartiva il denaro raccolto con le imposte, aveva l’obbligo e la facoltà di far arrestare i contravventori delle regole, aveva il potere di imporre ai cittadini maschi la costruzione di strade e ponti e altri lavori di pubblica utilità utilizzando la lavorazione a piovego. L’unica tassa era la “colta”(raccolta) e i destinatari erano esclusivamente i capifamiglia. Tutte le riunioni pubbliche erano precedute dal suono delle campane, tale usanza rimase in vigore fino al 1926, quando fu abolita dal fascismo.

Grazie a questo periodo di pace assoluta, dopo la bufera napoleonica, si ha il massimo sviluppo della popolazione con la costruzione di piccole borgate fino nei posti più remoti, purché vi sia un pò di terra coltivabile. Sorgono in questi anni (tra il 1815 e il 1850 i nuclei dei Tanisoi, Prai, Martinati e Pomer.

1816 in quest’anno avvenne una grave carestia che colpì tutto il Feltrino. Per risollevare l’economia stremata, l’Austria intervenne con molti aiuti, consentì la coltivazione del tabacco, fino allora vietatissima, e avviò molte opere pubbliche la più importante fu il rettilineo della Culliada. Ad Incino la situazione era così disperata che gli abitanti ”assediarono” Rocca, sede del municipio d’Arsiè, chiedendo di mangiare. Un deputato e un consigliere comunale compirono una questua di polenta e formaggio tra i più benestanti e riuscirono a calmare, con i morsi della fame anche quelli della rivolta.

1817 fu dipinto in quest’anno ai Tanisoi l’affresco posto all’estremità di un caseggiato che reca l’effige della Madonna di Loreto inclusa in una grande cornice. Lo stato di conservazione attuale è pessimo, l’affresco è ormai illeggibile. Non si conosce l’autore, ma la stessa persona che eseguì il lavoro ai Tanisoi 10 anni dopo ne dipinse un altro uguale a San Donato di Lamon che è datato 1827.

1818 il 12 settembre l’imperatore d’Austria impose nell’impero l’obbligo scolastico per tutti i giovani dai 6 ai 12 anni e prescrisse che ogni scuola dovesse avere il suo maestro con un minimo per classe di 50 alunni e un massimo di 100. Dall’anno seguente i giovani d’Incino cominciarono a frequentare la scuola in Arsiè.

1822 da un documento conservato a Rocca, tra Incino, Pomari e Casere, sono residenti 66 famiglie così suddivise per cognome: Zancanaro 33, Grando13, Nardino 11, Borsa 3, Rech 3, Stieven 2, Martinato 1, Strappazzon 1.

1824 I comuni d’Arsiè, Rocca e Mellame sono sciolti e nasce il comune d’Arsiè nella forma attuale, in tale data Rocca e Incino contavano poco più di 2000 abitanti.

1837 viene riportata la morte, avvenuta il 12 novembre di Zancanaro Domenico detto Coa, trentenne, di curioso è dove morì: ad Incin di Sotto.

1848 6 giugno, gli austriaci risistemato il ponte sul Cismon giungono ad Arsiè provenendo da Feltre. Vengono incendiati come rappresaglia per la resistenza attuata  Fastro, Incino, Corlo, “perché sparavano dietro i militari.” Arsiè fu solo saccheggiata.

1886 al termine della terza guerra d’indipendenza l’otto ottobre anche Incino diventa italiano, il 21 ottobre è indetto il plebiscito per sancire l’annessione del Veneto al regno d’Italia, ad Arsiè che contava allora 5704 abitanti tutti i 1359 elettori votarono all’unanimità il passaggio all’Italia. Da sudditi di Francesco Giuseppe si diventa sudditi di Vittorio Emanuele II. La dominazione austriaca durò 51 anni.

1873 mentre era in costruzione la nuova chiesa di Rocca ( quella demolita a causa dell’invaso) i rocchesani stipularono un contratto di 2059,86 lire con una cava della val Nevera, per la fornitura delle lastre del pavimento, ma avendo gia contratto altri debiti la spesa fu sostenuta dalle contrade d’Incino, Corlo e Carazzagno.

1870 fu inaugurato ai Prai d’Incino il capitello dedicato a sant’Antonio di Padova, è un’edicola con copertura in coppi protetta da un cancelletto di  legno, l’affresco dipinto sul muro di fondo è scomparso sostituito da un’immagine a stampa di S.Antonio col Bambino. Sulle pareti laterali esterne sono scavate due piccole nicchie che avevano un affresco sul fondo, ma le pitture sono scomparse sotto una recente imbiancatura. Negli anni successivi sempre ai Prai venne dipinto su una casa che guarda verso Enego un affresco che raffigura un giovane (forse san Vito) posto davanti ad una grande chiesa romanico- gotica, tale dipinto andrà distrutto nella ristrutturazione della casa. Sempre in quegli anni viene edificato il capitello presso le Casere, nel luogo dove parte la vecchia strada che portava ai Prai, dedicato all’inizio alla Madonna Assunta, ora porta l’effige del sacro cuore di Maria e Sant’ Antonio, sullo sfondo portava un dipinto ora scomparso. Stato di conservazione: pessimo. Infine sempre sul finire del secolo venne innalzato il Crocefisso posto in località “il Cristo”, è una scultura lignea per l’immagine, due tronchi squadrati per la croce, lamiera per la copertura e il fondo, era impostato su un grande masso di pietra. Misure cm. 265×140, alla base era applicata una cassetta per le elemosine. Scopo dell’erezione: era una stazione dove le processioni rogazzionali sostavano in preghiera propiziatoria per i raccolti agricoli, il posto ora è detto comunemente “il Cristo” che ha soppiantato quello precedente che era “la Forcelletta”. Ultimamente, dopo che a causa d’incuria e abbandono totale che avevano minato la stessa stabilità del manufatto è intervenuto un privato che ha provveduto al rifacimento totale del crocefisso per evitare che la memoria storica andasse perduta.

1871 a Roma la commissione parlamentare permanente per la difesa dello stato elabora un piano generale per la fortificazione del confine con l’Austria e indicò nella zona genericamente indicata come “Primolano”47 punti, uno era Incino, per erigere nuovi sbarramenti. Veniva stanziata la somma di lire 1.300.000.

1881 il più illustre cittadino di Rocca Angelo Arboit, sacerdote, patriota, garibaldino, scrive un opuscolo di 40 pagine dal titolo”l’Italia alla vigilia di una guerra europea” in esso l’autore, rivolgendosi all’onorevole Pompeo Alvisi deputato per il collegio di Feltre, perorava la costruzione di una nuova strada tra il Feltrino e il Bassanese che passasse per Incino e sostituisse un sentierino a zig-zag che non si può passare nemmeno a piedi senza pericolo, tanto è vero che più di uno è andato a finire la caduta e la vita su quel di Cismon. Le motivazioni erano due: militari, per permettere all’esercito di evitare le Scale di Primolano e scendere direttamente a Bassano, ed economiche, permettere agli abitanti della montagna di vendere i loro prodotti direttamente alla pianura. In quegli anni il comune d’Arsiè produceva tra i trenta e quarantamila ettolitri di vino che potendosi vendere con la via aperta per Incino potrebbero vendersi con 100.000 lire sopra il prezzo attuale gravato dal giro inutile per Primolano.

1882, il 20 maggio, muore all’età di 52 anni, Nardino Abramo, era stato ricoverato all’ospedale di Belluno perché assalito da malore mentre si trovava nel carcere di quella città  dove scontava una reclusione inflittagli per contrabbando di tabacco. Probabilmente è il primo uomo d’Incino ad essere ricoverato in un ospedale.

1883 arrivò ad Incino su esplicita richiesta dell’on. Alvisi una delegazione della commissione militare per la difesa delle Alpi e approvò la costruzione della Strada Arsiè – Cismon che passasse per i villaggi di Rocca e Incino aggiungendovi la costruzione di numerose gallerie.

In quest’anno si tenne il censimento, la popolazione era così divisa: Arsiè: 1883 abitanti, Mellame: 967, Fastro: 832, San Vito: 610, Rocca, Incino e Corlo: 2359.

1885 a Roma, il ministro della Guerra gen. Ferrero presenta in Parlamento il “piano generale per la difesa dello Stato” nel quale si individuavano zone e località ove avrebbero dovuto essere costruite le opere di fortificazione, dalle nostre parti venivano menzionati: Primolano, Fastro, i Pra d’Incino, il Tombione e Faller. Fu deciso a nord dei Pra, sulle pendici del col del Gallo, la costruzione di una spianata dalla quale le artiglierie avrebbero potuto tenere sotto tiro Enego e la strada della Pioveva, nonché battere la conca di Cismon, l’armamento prevedeva l’assegnazione di 5 mortai  con 2000 colpi e 6 cannoni. I resti di tali lavori si possono osservare proprio ai piedi della grande antenna della Rai. Il 29 dicembre arriva ad Incino una comunicazione del Comando Carabinieri di Sciacca (legione di Palermo) che riporta la morte di Zancanaro Giacomo fu Domenico causa: volontario suicidio, era il primo uomo di Incino ad essere ammesso nell’Arma.

1886  il 20 gennaio sgomento ad Incino per la morte di un uomo, ma poteva provocare una strage: questi i fatti come riportati nel registro dei morti con il linguaggio di allora: Stieven Giacomo di Luigi nato il  24 gennaio 1814 vedovo di Menegaz Santa di Rasai morì sotto una valanga di neve alle 10 del mattino e il cadavere fu trovato alle 4 del pomeriggio, lo Stieven era partito dalla contrada di Incin per andare al suo maso situato alla Costa, giunto sopra la fontana di Incin non si sa come, venne trascinato via dalla valanga che lo precipitò giù per la valle della fontana, furono sotterrati sotto la medesima valanga altri due fanciulli e una fanciulla alla presenza dei loro padri che non poterono prestar loro soccorso. Per loro fortuna tutti gli uomini di Incin si trovavano colà radunati per aprire le strade dalla neve allarmati dalle grida di aiuto accorsero sul posto procedendo al salvataggio, ben presto si rinvennero i tre fanciulli ancora vivi, intanto una voce chiamò aiuto sulla contrada Pomer, quella passò la voce al Col , il Col ai Berti  e i Berti alla Rocca anche qui gli uomini validi erano già radunati per lo sgombero, avuta notizia del fatto tutti si precipitarono ad Incin a dare man forte ai soccorritori, dopo sei ore di ininterotto lavoro il cadavere dello Stieven lo si rinvenne in mezzo alla valle

1892 fu aperto al transito il tratto di strada Tombion -Pra d’Incino- col del Gallo, un capolavoro d’ ingegneria militare oggi purtroppo semiabbandonato e quasi impraticabile, che va sotto il nome di Strada  camionabile del genio, fu un tracciato angusto a causa delle difficoltà poste dall’aspro terreno sul quale si snodava il percorso, ma le modifiche migliorative proseguirono fino al 1915, per questa data l’intera tratta poteva essere percorsa anche da autocarri a pieno carico  e traini di artiglieria.

1900 l’anno segna la fine di un secolo turbolento, ecco come don Luigi Moccellini parroco di Rocca, Incino e Corlo riassume quest’epoca:

Termina l’anno 1900 ultimo del secolo XIX. Secolo che fu molestato da varie malattie epidemiche e coleriche come quella degli anni terribili dell’anno 1836 nonché quelli del 1855 e 1886. Aggiungetevi quelli dell’influenza e difterite-angina che ebbero a mietere centinaia di migliaia di vittime in tutto il regno d’Italia.

MILLE ANNI = TAN QUAM DIES, QUAE PRAETERIIT (tanto quanto un giorno che finisce).

Secolo XX

1901 il primo anno del secolo ad Incino è pesantissimo per la mortalità infantile, comincia Zancanaro Celeste di 6 anni, era il 9 gennaio, causa tosse pagana. Il 29 luglio muore Nardino Giovanni di 2 giorni per “poco sviluppo”( così s’ intendeva chi nasceva sotto peso), il 13 agosto muore Zancanaro Antonio di 6 mesi, il 30 agosto tocca a Borsa Amelia causa bronchite, chiude l’anno Zancanaro Maria morta il 4 dicembre ancora per bronchite. Il parroco di Rocca nel compilare il registro dei morti quando doveva annotare la morte di un bambino, usava stabilmente questa formula: è volato in cielo…(nome e cognome)…causa…., il suo cadaverino è stato sepolto in questo cimitero in data….questa media 6-7 bambini morti ogni anno è costante per tutto il primo ventennio del secolo, tanti, troppi morivano entro le 24 ore dal parto e la data di nascita era la stessa di quella di morte, per tutti, la causa era”imperfetto sviluppo”, sviluppo incompleto, dopo un anno si usava scrivere ”fragile costituzione”. Comunque chi riusciva a superare i 5-6 anni aveva molte possibilità di raggiungere l’età adulta.

1903 il 22 gennaio muore Borsa Francesco di 75 anni, il Borsa viene colto da malore alle Casere (tutti i Borsa all’inizio del secolo abitavano alle Casere) ottenuto di trasportarlo all’ospedale di Feltre spirò lungo il percorso (ai Tanisoi), i portantini non sapevano che partito appigliarsi trattandosi di un poveretto che non aveva ne letto ne loco ne foco, deposero la salma nella nuova chiesa, in attesa di disposizioni dell’autorità sanitaria che concesse il permesso di seppellimento dopo aver accertato i fatti.

1906 è l’anno caratterizzato da molte morti dovute a denutrizione, sono registrate sotto la voce”lenta consumazione”colpisce sia bambini che anziani, muoiono così Zancanaro Linda 9 mesi, Borsa Giovanna 2 anni, Nardino Giovanna di 84 anni, Grando Teresa di 77 anni. Alla voce “ mestiere” tutti gli adulti morti erano registrati come contadino/a.

1907 è l’anno dominato dal tifo che provoca da solo 6 morti tutti sotto i 25 anni.

1908 questo è l’anno della tisi la morte si porta via Zancanaro Amilcare di 11 mesi  Borsa Marsiglio 3 anni per lenta tisi, Zancanaro Giacomo 67 anni per tisi ossea poi Martinato Benedetto di 5 anni. La rete ferroviaria veneta riuscì finalmente a collegarsi a Primolano con la preesistente linea austriaca Trento-Primolano operativa sin dal 1896 tale fatto accelerò l’iter per la costruzione del tronco stradale Incino –Cismon.

1910 da segnalare la tragedia di Zancanaro Gelindo, era il 17 ottobre quando la madre lo pone in piedi sul bordo della fontana in piazza (quella tuttora esistente ma non nella forma attuale)   il bimbo sfugge dalle mani della madre, Nardino Elvira, e precipita sul fondo, viene immediatamente recuperato ma la sua vita se ne andata, 2 giorni prima aveva compiuto 3 anni. Sempre nel 1910 si registra la prima morte per pellagra che colpisce Grando Modesto di 71 anni.

1911 l’otto dicembre nasce ad Incino la prima copia di gemelli sono Giovanni e Antonio Zancanaro ma moriranno 2 giorni dopo per insufficienza vitale. Una seconda copia di gemelli verrà alla luce ai Tanisoi il 15 maggio 1917 Secondina e Maria Grando, Secondina vivrà 31 giorni e morirà di broncopolmonite Maria vivrà 5 giorni in più e morirà di febbre intestinale. Terza copia di gemelli sono Maria e Giuseppina Nardino figlie di Florindo e Borsa Antonia nascono il 21 giugno 1924 e muoiono lo stesso giorno per insufficienza vitale.

1916, primo morto fulminato, è Zancanaro Camillo di 9 anni “scottatura da corrente elettrica per essere salito sopra un palo della luce”così è riportato nel registro dei morti.

Bilancio: l’età media ad inizio secolo era meno di 40 anni per tutto il Regno d’Italia ciò era dovuto all’impressionante mortalità infantile. Per gli uomini arrivare ai 65 anni era un’età veneranda, per le donne, la media era 68-70 anni, i primi novantenni si ebbero solo dopo il 1940. Le cause di morte più comuni erano nell’ordine: cause respiratorie, (bronchiti, broncopolmoniti, tisi e asma, con le bronchiti che erano il triplo delle broncopolmoniti.) poi Marasma senile  ( in seguito sarà chiamata arterioscleròsi ora morbo di Alzheimer), tifo, meningiti e lenta consumazione (inedia), poche le morti per crisi cardiache: l’infarto non era conosciuto forse lo si chiamava “istantaneo malore” o “subitaneo malore”, di collasso si registrano un paio di decessi più alcuni casi di morte per paralisi più o meno progressiva. Solo dopo la Grande Guerra malgrado le devastazioni  e le privazioni subite  la mortalità infantile subisce un netto rallentamento.

Dalla cronistoria curaziale volumi 1-2

Quando ancor non c’era la chiesa, questi buoni cristiani avevano eretto, ove ora sorge la nicchia del sacro Cuore, un piccolo capitello chiuso da cancello in legno, da un lato esterno c’era una pila per l’acqua lustrale ; da un altro una cassetta per l’elemosina. Con le offerte era fatta ardere giorno e notte una lampada ad olio davanti all’immagine della Madonna del Pedancino, dipinta nella parete centrale, mentre nelle due laterali erano rappresentati san Rocco e sant’ Antonio.

Ogni sera sebbene stanchi del quotidiano lavoro, i buoni fedeli dell’alpestre paesello si raccoglievano per recitare il rosario e per cantare le lodi alla Vergine. Qui si fermava la processione per le rogazioni proveniente da Rocca, qui si raccoglievano, per ricevere la comunione pasquale a loro portata dal parroco o cappellano di Rocca. Essendo Incino lontano dalla chiesa parrocchiale di Rocca circa 4 chilometri e dovendo percorrere una strada mulattiera, molto pessima d’inverno  e piena di pericolo di valanghe, l’idea di erigere una chiesa ad Incino, che allora contava 516 abitanti, è stata lanciata quasi al tempo in cui a Rocca si pensava d’innalzare la chiesa parrocchiale sui colli. Idea ancora più propugnata quando la Parrocchiale fu invece eretta nell’attuale posto. Sassi, sabbia, calce, travi e vario materiale da costruzione erano stati accumulati in grande quantità dietro il Col, poiché sopra di esso si doveva fabbricare la nuova chiesa.

Infatti qui l’inviato del vescovo mons. Callegari benedisse e sotterrò la prima pietra, nella quale in un apposito incavo furono deposti vari pezzi di monete, fra cui anche del papa Pio IX, medaglie, una pergamena e un’immagine di sant’Alfonso Maria de Liguori, cui la popolazione nutriva una speciale venerazione.

La maggioranza della popolazione di Rocca canzonava e derideva il progetto d’Incino di avere una chiesa e sacerdote proprio. Non così la pensava il parroco, don Luigi Moccellini, il quale incoraggiava e approvava in tutti i modi l’iniziativa, e donò loro la campanella affinché chiamasse la gente al lavoro, e per invitarla alla preghiera. Essa fu portata ad Incino da Zancanaro Gio-Batta (Marinel) in mezzo ad uno stuolo di fanciulli che per strada la facevano squillare a colpi di sassi e di ferri.

L’idea di innalzare la chiesa dietro il Col fu in seguito abbandonata specialmente per la posizione troppo esposta alle correnti dei venti della Val Cismon e perché per molti mesi non si vedeva mai il sole. Per cui la prima pietra già benedetta e sotterrata fu portata processionalmente nell’attuale posto dove sorge la chiesa. Fu deposta nell’angolo di mezzogiorno lontano circa un metro dall’angolo frontale della casetta di Zancanaro Antonio (Boridon). Il terreno fu donato alla fabbricieria da Zancanaro Michele fu Giuseppe e Zancanaro Elisabetta maritata Nardino.

I lavori di scavo furono incominciati il 21 novembre 1896, la scelta di tale data non fu casuale, quel giorno ricorre la festa liturgica della presentazione di Maria al tempio, nel Veneto tale festa è conosciuta come “Madonna della Salute”, in quanto legata al voto fatto alla Vergine da Venezia e altre città venete nel 1630 per la cessazione della terribile peste. Terminati i quali la prima pietra fu nuovamente benedetta dal parroco don Luigi Mocellini, assistito dal cappellano don Giuseppe Destro, che allora faceva anche il maestro. Per progettare e dirigere i lavori di costruzione gli uomini di Incino si recarono ad Arsiè per chiedere l’aiuto dell’ingegnere Giovanni Ivanoff. Questo ingegnere era nato a Trieste nel 1851 da famiglia d’origini russe, laureato in ingegneria militare entrò in amicizia con studenti italiani irredentisti tra cui Guglielmo Oberdan e organizzarono un attentato contro la vita dell’imperatore d’Austria, scoperti, per evitare l’arresto e una sicura condanna a morte, l’Ivanoff fuggì in Italia e si trasferì ad Arsiè dove sposerà Emma Fusinato e qui risedette. Data la sua competenza in materia di costruzioni militari, e conoscendo probabilmente i piani di fortificazione con cui l’Austria muniva i suoi confini, fu assunto dal Genio Militare Italiano. Tra il 1882 e il 1910 progettò e diresse i lavori di costruzione dei forti di Fastro, di Cima Campo nonché altri lavori nel Bellunese, suo il tracciato della Cavallera, nonché il campanile della chiesa di Rocca. Egli accettò la richiesta d’aiuto e stese i progetti della chiesa e del campanile d’Incino, ma essendo impegnato a Fastro non poteva essere sempre presente per cui direttore dei lavori fu nominato il promotore dell’idea cioè Francesco Nardino detto Checco Menegai, Assistito da Antonio Nardino detto Sante. L’ingegner Ivanoff veniva quasi tutte le domeniche ad Incino per controllare l’avanzamento dei lavori e dare indicazione  per come proseguire e seguì tali lavori fino al compimento senza chiedere nessun compenso. Più tardi (intorno al 1910) l’Ivanoff tornerà ad Incino per progettate e dirigere i lavori di costruzione della strada della Pala della Renga. Deceduto nel 1917 ad Arsiè le sue spoglie riposano tuttora nel cimitero di quel paese. In questi anni Incino è un paese emigratorio, perché il poco terreno coltivabile non poteva mantenere la popolazione, e quindi dai 12-13 anni tutti hanno emigrato all’estero specialmente in Francia, Svizzera, America e anche attualmente (1940) emigrerebbe se i passi fossero liberi. Per tutta la stagione 1900-1901 rimasero a casa Zancanaro Valentino dei Prà, Zancanaro Giacomo fu Felice delle Casere, i quali aiutati da Zancanaro Domenico Cici condussero fino al cornicione quasi tutta la fabbrica compreso il campanile, il quale cresceva di pari passo con la chiesa.

Questi operai erano stati incaricati dai curaziali a continuare nell’opera intrapresa dietro quotidiana e legittima retribuzione. Tutta la popolazione era mobilitata affinché il materiale da costruzione non mancasse mai agli operai e si vedevano donne, ragazze fanciulli tirare giù dall’Isser, dalle montagne di Cismon, da Arsiè grossi travi, trasportare sassi dalla cava di Zancanaro Domenico Ampollina e di Nardino Pietro dei Conchi, portare sabbia grezza dalla Costa e sabbia raffinata per l’intonaco esterno.

Il primo morto portato in chiesa, non ancora ultimata e in cui non si potevano ancora celebrare le esequie, fu Fortunato Borsa (Bani), nella bara vi avevano posto un bastone e un mazzo di carte da gioco per significare quanto grande fosse la sua passione per questo divertimento.

1902 Per tutto l’anno tutti i curaziali lavorarono alacremente ed incessantemente per cui il 13 dicembre, festa di santa Lucia, si poté metterla al coperto con la posa dell’ultimo coppo. In quel giorno si portava alla sepoltura a Rocca, Nardino Giovanni (Conco) mentre la neve fioccava a larghe falde.

La chiesa, senza intonaco, senza soffitto, senza porte stabili, ma solo provvisorie, aveva il solo altare maggiore, fatto di mattoni che ancora non aveva la pietra sacra, ed era spoglia di tutto. Il primo quadro religioso rappresentava sant’Alfonso de Liguori, fu regalato da Nardino Antonio e fu posto sulla parete sopra la porta degli uomini, ove rimase fino a poco tempo fa. I lavori furono ordinati ad ultimare specialmente il coro il quale fu subito soffittato ed intonacato per bene però ancora con sabbia greggia.

1903, Il 21 novembre  ad onore della Madonna della Salute sotto il cui patrocinio i buoni curaziali avevano dato principio al colossale lavoro, si celebrò la prima messa dal parroco di Rocca don Luigi Moccellini, assistito dal cappellano  e dall’arciprete d’Arsiè don Valentino Balasso. Il canto fu sostenuto dalla schola cantorum di San Vito. Il popolo vi accorse numerosissimo dai paesi vicini, frequenti fuochi pirotecnici attirarono l’attenzione della povera e semplice popolazione ignara di tali meraviglie. Un gruppo di minatori d’Incino scesi dal monte Bianco sani e salvi sebbene inenarrabili fossero i pericoli a cui erano andati incontro, attribuendo la loro salvezza a santa Barbara, promise di istituire nel loro paese il culto a questa santa. Infatti, ritornati a casa, il 4 dicembre 1903 vollero fosse cantata una Messa solenne in suo onore, la messa venne celebrata da don Angelo Fincato di Cismon, un quintale e mezzo di polvere fu consumata per lo sparo dei mortai, sparsi nei luoghi più elevati e strategici del paese. Fuochi artificiali e naturali rompevano le tenebre della notte, bisogna però ricordare che ancora non esisteva nè la cappella nè la statua di santa Barbara. Per quasi un anno vennero a celebrare la messa alla domenica sacerdoti ora d’Arsiè, ora di Rocca, ora di Enego, ora don Cirillo dal Collicello con il suo cappello di paglia, dalle scarpe ferrate il quale subito raccomandava alla Grando Battistina di Michele, caffè col vino e pane in abbondanza. Il sacerdote celebrante era retribuito ogni volta con l’offerta di lire 5.

I capi paese in questo tempo si recarono dal vescovo di Padova per ottenere un sacerdote stabile, e dopo avergli assicurato un patrimonio annuo di lire 2000 con una sottoscrizione fra tutti i capifamiglia, fu ad Incino mandato quale primo curato il sacerdote novello don Girardi Baldassarre, era il 18 agosto 1905. Lo accompagnarono in paese ambedue i sacerdoti di Rocca e qui fu accolto tra gli evviva e gli applausi della popolazione, tra lo sparo dei mortai e il suono della campanella piccola che oggi si suona nei temporali minaccianti sventura: infatti le altre campane ancora non c’erano.

La messa fu solenne cantata in terzo, quindi fu preparato un lauto banchetto da parte di Zancanaro Giuseppe fu Michele nella casa di Baribon al quale parteciparono 17 persone, gli esponenti primi del paese, tutti gli altri erano all’estero per lavoro. Il curato dormiva e mangiava provvisoriamente nella casa di Nardino Giovanni fu Giacomo (Tavernel). Egli dimorò per oltre 2 anni perché ancora la canonica vecchia non era stata costruita.

Nel frattempo si stabilì tutto il corpo della chiesa, si costruì la cappella di Santa Barbara, la cui statua fu regalata da tutti i minatori. Fu comprata pure l’immagine della Madonna della Salute a cui la chiesa era intitolata, e il grande crocefisso, che in tempo di guerra ebbe un braccio spaccato da una granata da 149 e che fu portato al sicuro insieme agli altri oggetti di chiesa, alle Casere in casa di Zancanaro Luigi fu Felice. Furono comprati i vari quadri della Via Crucis, infine si diede principio ai lavori per l’erigenda canonica ove sorgeva la casa di Zancanaro Sebastiano fu Arcangelo. A capo dei lavori, fatti tutti con la prestazione gratuita della mano d’opera stava lo zelante sacerdote don Girardi Baldassare che ebbe la fortuna di abitarla per quasi 3 anni.Per fare la cisterna dell’acqua lavorò non poco Zancanaro Luigi fu Felice.

Il campanile

Abbiamo detto che contemporaneamente ai lavori della chiesa progredirono anche quelli del campanile per cui si può affermare che nel 1905 era al compimento. L’altezza era quella attuale di m. 20, solo che terminava a piramide quadrangolare ricoperta di zinco con sopra una croce postavi da Zancanaro Luigi fu Felice.

Le campane erano opera della ditta Cobalchini  di Bassano , pesavano in tutto 6.80 q. , furono trainate in paese per la strada gelata del genio militare, quindi per la via dei Foram. Portate in chiesa vi rimasero alcuni mesi, finchè il curato non le battezzò “ de licentia – episcopi “, imponendo alla piccola, il nome santa Barbara, che ebbe per padrino Zancanaro Michele; alla mediana il nome di sant’Antonio che ebbe per padrino Zancanaro Giuseppe fu Giovanni, alla terza il nome santa Maria ed ebbe per padrino Grando Michele (inverno 1906).

Il castello campanario e i battenti delle due porte sono opera di un certo Cerato Francesco d’Enego. Col materiale di legno che aveva servito da armatura, si fece quasi un ponte che congiungeva la casa di Zancanaro Maria (pataco) con la cella campanaria e per essa si trascinarono al loro posto le campane e qui benedette. La prima ad essere suonata da Zancanaro Domenico ( cici) fu la più grande, fra l’entusiasmo di tutta la popolazione.

Per alcuni giorni non si faceva che suonare. Le prime donne che fecero suonare le campane furono la Grando Battistina e la Giovanna ed Elisa Baldassare sorelle del curato. Eravamo nella primavera del 1907.

Don Girardi Baldassare fu trasferito a San Vito e Roveri nell’agosto 1909 e fu rimpianto da tutti gli Incinesi, per la sua bontà e per il suo molteplice zelo, sebbene non gli siano mancate croci e dispiaceri. La sua operosità, generosità, abnegazione a dare il buon esempio, il servizio di Dio e delle anime fu ricordato per oltre un trentennio dopo la sua partenza. A lui successe don Luigi Zolli che da 15 giorni si trovava a Cismon. Questo sacerdote specie d’inverno, amava raccogliere intorno a sé  giovani e no, per cantare, giocare, e s’intende bene, anche per bere . Allora la questua dell’uva fruttava dai 6 ai 7 quintali l’anno.

Nell’anno seguente s’ intonacò l’interno della chiesa, si fece il confessionale e il battistero e il primo battezzato al nuovo fonte fu Zancanaro Primo di Domenico (cici). Durante la sua permanenza ad Incino comprò la bandiera della società operaia, simbolo d’unione tra i lavoratori, i quali avevano una cooperativa di consumo per aiutarsi vicendevolmente.

Don Luigi Zolli fu richiamato alle armi fra la Croce Rossa nella primavera del 1915, era un prete buono e cordiale, anche troppo e qualcuno ne approfittava abusandone. Tutti i 6 anni di sua permanenza ad Incino ebbe dimora nella vecchia canonica.  Ove un altro fatto merita attenzione:

1911: luglio, don Modesto Zancanaro viene consacrato sacerdote, é il primo sacerdote d’Incino, la storia non ricorda altri prima di lui. La sua messa novella fu un trionfo, un avvenimento tra i più emozionanti e meravigliosi d’Incino. Sempre nell’estate del 1911 fu letto in chiesa il Motu proprio del papa Pio X che aboliva le festività del 2 febbraio (purificazione di Maria), Il 19 marzo (san Giuseppe) 25 marzo ( annunciazione di Maria), la seconda festa di Pasqua, il lunedì di Pentecoste, il Corpus Domini, l’8 settembre( natività di Maria), e il giorno di Santo Stefano. Alcune di queste feste eliminate ritorneranno festive con il concordato del 1929. Grande la delusione degli abitanti d’Incino soprattutto per l’abolizione della festa del 25 marzo che non era celebrata in paese ma che faceva riversare a Cismon tutta la popolazione attirata dai grandi festeggiamenti che venivano organizzati annualmente,e di cui si conserva tutt’ora il ricordo.

Il coro fu decorato da quei di San Vito, ma in seguito presentarono un preventivo di parecchie migliaia di lire, allora ci si rivolse a quelli di Seren, e il loro lavoro soddisfò tutti; tanti mestieri si potevano fare perché di soldi ce n’ erano tanti . I campi, essendo lavorati e concimati ben bene, producevano al doppio d’oggi, le vanede sono piene di floridi vigneti, e dall’estero ogni autunno gli emigranti portavano a casa un bel gruzzolo di denari. Basti pensare che allora in paese vi erano 4 osterie e tutte avevano lavoro di vendita.

All’inizio della guerra la statua di sant’Agnese comperata dalle figlie di Maria fu messa al sicuro nella casa di Zancanaro Giuseppe fu Luigi  (Cul) quella di san Antonio comperata da Zancanaro Angelo Arcangelo fu portata in casa della Grando Valentina. L’immagine di santa Libera è stata comprata da tutte le donne della Curazia, i minatori vollero fare dono alla chiesa dell’immagina di santa Barbara, la statua veramente bella di Maria è stata portata in paese in mezzo all’esultanza dell’intero popolo il quale andava a gara nel cantare per strada le lodi e le litanie alla beata Vergine dietro l’esempio e l’incitamento di Giacomo Telta.

1914 otto agosto,  venne ufficialmente costituito il Comando dello sbarramento Brenta – Cismon ,l’ufficiale comandante era il colonnello di artiglieria Dino Roberto Guida cl 1856, pensionato nel 1914 e subito richiamato in servizio per l’eminenza della guerra. Lo coadiuvava con l’incarico di comandante del Genio il maggiore  Antonio Dal Fabbro,già direttore dei lavori di fortificazione di Cima Campo, Col del Gallo e monte Lisser. Il Dal Fabbro ricevette subito la nomina a direttore della strada militare Arsiè-Incino-Cismon, la denominazione: strada Militare, rimase in vigore fino al 1931 quando il comune di Arsiè assunse a suo carico la manutenzione.

Periodo della guerra

Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria, il giorno prima, domenica 23 maggio solennità di Pentecoste, i fedeli d’Incino che si recano a messa grande trovano una brutta sorpresa appesa alle porte della chiesa: i carabinieri espongono il bando della mobilitazione generale riguardante tutti gli uomini validi compresi tra i 21 e 45 anni. Nello stesso bando viene annunciata la chiusura delle frontiere e il ritiro di tutti i passaporti per impedire l’espatrio ai futuri soldati.

Nella primavera del 1915 fu richiamato alle armi don Luigi Zolli e il vescovo non mandò altri sacerdoti a sostituirlo, però alla festa si ebbe lo stesso la messa celebrata dal parroco di Rocca don Busnella o dai cappellani militari della sussistenza di Cismon, venivano retribuiti con l’offerta di lire 5 e ricevevano vitto presso la Battistina della Marinella.

Nell’ottobre del 1916 viene mandato quale curato ad Incino don Antonio Guerra. Guerra di nome e di fatto, poiché, dato il suo temperamento focoso e l’indocilità del popolo, non potè qui fermarsi a lungo, infatti, il sabato santo del 1917 terminata la funzione della benedizione del sacro fonte, durante la quale si ebbe un alterco tra lui e il campaner  Zancanaro Giovanni fu Sebastiano e Bepi Tass (fabbriciere) si prese la valigia e partì per ignota destinazione. Partito il sacerdote e ridotto Incino in una piccola fortezza militare si pensò di metter al sicuro i paramenti e gli altri oggetti sacri. In casa di Zancanaro Felice delle Casere furono portati le torce e il grande Crocefisso, comperato da pochi anni dallo stesso Felice, e benedetto a San Vito da don Antonio Pizzato, per lo scoppio di una granata venne mutilato ad un braccio. Anche santa Barbara fu mutilata a una mano. Bandiere, tovaglie, camici, furono portati a casa della Zancanaro Barbarina (Casere). Altre suppellettili furono nascoste nel Buso dei Sacconetti.

1917, quanto disperata fosse la vita ad Incino, lo dimostra la tragica fine di Grando Sisto, 16 anni, dei Pomer, il 18 giugno pone fine ai suoi giorni : “impiccagione per improvvisa pazzia dovuta dalla fame” scrive il parroco di Rocca nel registro dei morti. Dopo la disfatta di Caporetto e la rotta del Piave, il nemico austriaco invase la sera del 14 novembre il paesello d’Incino. Fino alla mattina di quel giorno ad Incino stazionavano due compagnie del 6°fanteria più una batteria di cannoni da 75 millimetri, ma alle ore otto del mattino il generale Donato Etna comandante del XVIII corpo d’armata dal provvisorio comando di Cismon (dove si era trasferito da Arsiè) ordinava a queste unità di ripiegare su Cismon, La 9° compagnia della Gebirgsbrigate dopo aver occupato i forti del Col del Gallo e i Prai, e aver catturato 37 soldati sbandati, intorno alle 17,30 scese e occupò Incino senza trovare alcuna resistenza.

Dal novembre del 1917 fino al 5 maggio 1918 in cui dietro il duro comando austriaco, si diede il bando a questa povera gente, nessuno può immaginare i dolori, gli spaventi, le privazioni, i maltrattamenti che essa dovette soffrire, sopportare, tacere. La chiesa colpita da 3 granate, fu ridotta a scuderia per i cavalli, i quali affamati com’erano ne rovinarono e rosicchiarono persino le porte, i quadri sacri dispersi. Le stazioni della Via Crucis bruciate. Quasi tutti andarono profughi nei paesi del Feltrino, Alpago, Busche, Fonzaso…

La prima granata tirata dagli Italiani per snidare il nemico cadde in paese il 20 novembre 1917 verso la mezzanotte, nella casa di Zancanaro Giuseppe (Iso). Per lo scoppio e per il gass morirono 4 soldati, 12 animali e 10 feriti: furono miracolosamente salve la Zancanaro Valentina  e la sorella Maria e il figlioletto Pietro. Subito scapparono a rifugiarsi nella vicina galleria dove dai medici tedeschi ricevettero le prime cure, riaversi dallo spavento, e per non avvelenarsi dal gass respirato.

Un altro fatto in cui fu manifestata la speciale protezione di Maria verso la popolazione d’ Incino fu lo scoppio della grande polveriera. Piena di granate, bombe, pallottole, polvere, colpita in pieno da un obice italiano s’incendiò e dopo pochi minuti, con uno scoppio mai sentito al mondo, andò in fumo.Tante case furono sgretolate o completamente abbattute, 60 furono i morti e oltre 200 i feriti. Dei borghesi morirono solo Zancanaro Michele con 4 soldati nella casa di Zancanaro Giacomo fu Giacomo Meneghet. Altri 5 soldati morirono in casa di Zancanaro Antonio fu Sebastiano andò salva la Zancanaro Maria Meneghet per singolare privilegio dell’Altissimo. La povera gente sempre sotto il tiro del mortifero cannone, assordata dai frequenti tiri dei 50 cannoni e delle 100 mitraglie piazzate sul colle d’ Incino, non si sentiva più sicura, e perciò si andava a riposare nelle gallerie, si cibava di poche erbe selvatiche. Lo stesso sacerdote di Rocca non si fidò a venire ad accompagnare alla sepoltura il defunto Zancanaro Michele. La Nardino Maria 32 anni, moglie di Strappazzon Luigi, dovette morire insieme al figlio che stava mettendo al mondo per “ asfissia di meccanismo da parto” causa mancanza di cure mediche da parte dei dottori austriaci, non essendosi nessuno azzardato ad andare a chiamare il medico borghese alla Pioveva di Enego. Altro motivo di terrore sono le bombe inesplose che provocarono morti soprattutto tra i giovani: il 20 novembre 1917 Zancanaro Domenico di 12 anni è dilaniato da una bomba che aveva calpestato, l’11 febbraio 1918 due fratelli, Albino e Antonio Martinato di 6 e 13 anni muoiono per lo scoppio accidentale d’esplosivo, stessa sorte per Nardino Angelo che muore a 10 anni  il 15 marzo del 1918.

Si vive sempre in mezzo al terrore, al pianto, al dolore, alla morte fino al 2 novembre 1918, quando in seguito all’avanzata vittoriosa, gli alpini e gli arditi scesero dalle Pegole e sbarrarono la strada all’esercito austriaco che scendeva dalla Val Piana e dal Corlo in flotte di migliaia e migliaia.

I nostri eroi appostati con poderose mitraglie arrestarono il nemico che fu fatto in gran parte prigioniero. Erano comandati dal maresciallo Cesare De Vecchi (futuro quadrunviro).

Nota: La realtà storica è però diversa: all’alba di quel giorno una pattuglia di 11 arditi al comando del caporalmaggiore Pietro Nardino (Gardelin) d’Incino riusciva a sbarrare con il suo fuoco, una mitragliatrice Fiat 14, un sentiero, scendente dal Grappa, al ponte del Corlo, bloccando così il battaglione di testa della brigata austro-ungarica, che si arrendeva. Non era però possibile al Nardino Pietro controllare un gran sì numero d’avversari, neppure disarmati; gli arditi del capitano De Vecchi, presto sopraggiunti da Cismon lungo la strada d’Incino, presero quindi in consegna i prigionieri circa 4.000. Mentre l’azione del Nardino fu presto dimenticata, nel 1928 il De Vecchi per questo fatto ebbe la cittadinanza onoraria di Bassano e di Cismon, e il titolo nobiliare di “conte di Val Cismon”. Il Nardino Pietro emigrava, nel 1924 in Francia e di lui non si ebbero più notizie.

1918 il 1 febbraio iniziò ad Incino la requisizione, disposta dal comando austriaco, di tutti i generi alimentari posseduti dai civili e lo stoccaggio in magazzini militari, con successiva distribuzione, razionata, sotto controllo austriaco. Fu un anno di gravi privazioni per tutti. La situazione nella primavera-estate del 1918 raggiunse punte d’impressionante miseria e denutrizione, il raccolto dell’autunno del 1917 era stato più che generoso e per l’ottobre le case erano ben fornite di provviste, ma dopo poche settimane d’occupazione austriaca alla gente d’Incino mancava di tutto a causa di ripetute requisizioni, saccheggi, furti ed espropri cui era impossibile opporsi. Le requisizioni, con tanto d’avvisi affissi dappertutto interessavano cavalli, autoveicoli (che ad Incino non c’erano) ma bovini e caprini (fu autorizzato il mantenimento di una sola mucca o capra per famiglia) si pretese la consegna di tutte le galline, indumenti di lana, coperte, furono lasciate due lenzuola per persona e una pentola per famiglia. Gli abitanti d’Incino erano costretti ad ubbidire perché gli austriaci minacciavano di deportare le persone più in vista del paese se i loro ordini non venivano immediatamente eseguiti. La terribile fame provocò almeno 100 morti per inedia nel comune d’Arsiè, per fortuna il mite inverno favorì lo sviluppo precoce delle erbe (scanferle) che furono decisive per la sopravivenza di molti. I funghi non erano raccolti perché non avendo conoscenze certe su come distinguere i commestibili dai velenosi si preferiva patire la fame che rischiare l’avvelenamento. All’inizio dell’anno gli Austriaci costruirono il tronco ferroviario a scartamento ridotto Arsiè-Arten che si allacciò a quello già esistente Feltre- Arten, la stazione d’Arsiè si trovava al Brolo vicino al cimitero, sempre gli Austriaci ampliarono la strada Cismon- Incino con nuovi lavori Alla Pala della Renga per permettere il transito agli autocarri.

IL 4 novembre 1918 arrivò il tanto bramato armistizio il quale segnò la completa vittoria del nostro amato sovrano Vittorio Emanuele 3°. Da segnalare l’ultimo caduto d’Incino, fu Zancanaro Sebastiano (Meneghet) deceduto a Milano la tarda sera del 3 novembre, 18 ore prima della fine delle ostilità, era fratello di Jovane.

In seguito i profughi cominciarono a rimpatriare, per rivedere i loro cari congiunti, i loro campielli, le loro robe. Ma, mio Dio, quanta desolazione, quanta rovina! Nel solo paese d’Incino oltre 30 persone caddero morte per causa di ordigni bellici, d’esplosioni, di fame, della spagnola.

Si passò l’inverno 1918-1919 ricoverandosi alla meno peggio nelle case diroccate, intanto alla domenica veniva di sovente il parroco di Rocca a celebrare il santo sacrificio.

All’inizio dell’anno 1918 durante il profugato di quasi tutta la popolazione, le gloriose campane, con sommo dolore di tutti, sono state gettate giù dalla cella campanaria e spaccatesi sono state portate via dagli austriaci, per farne materiale bellico. Una quarta è rimasta perché serviva agli Austriaci come segnale agli aeroplani.

Nella primavera del 1918 venne quale curato certo don Giovanni Rizzolo il quale fece il suo ingresso in paese, tra il giubilo della popolazione, condotto dal parroco di Cismon. Rimase qui quasi un anno, lasciò un perenne ricordo per la sua semplicità e per la denominazione, che affibbiava a quei giovanotti che alla festa entravano in chiesa in ritardo: ecco i pompieri!

Dopoguerra

Appena terminato il conflitto venne istituita dal governo Italiano  una Reale Commissione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti delle genti commessi dal nemico. Dai dati forniti da questa commissione risultò che nel comune di Arsiè in un anno esatto di occupazione Austro-Tedesca si ebbero 480 morti così suddivisi:per fame 270 morti, per malattie varie 200 morti, per brutalità nemica 10 morti. I bambini morti furono almeno100.

Per la ricostruzione delle case danneggiate o abbattute, in chiesa lavoravano i falegnami della cooperativa di lavoro d’ Incino. Al principio del 1919 dagli addetti del Genio si lavorò molto per ripristinare il coperto della chiesa, del coro del campanile. Il chierico don Siro si era recato a Fonzaso presso il comandante dell’Ufficio del Genio per ottenere il materiale necessario per stabilizzare la chiesa. Dopo il famoso don Giovanni venne a celebrare per 2 domeniche un sacerdote un po’ zoppo, quindi fu mandato a reggere la curazia il compaesano don Modesto Zancanaro che vi rimase per quasi 2 anni.

1920 20 agosto. Prima visita di un vescovo di Padova ad Incino, mons. Pelizzo proveniva da Rocca dove si ruppe la macchina, dovette raggiungere Incino a piedi sotto la pioggia. Nello stesso anno sorge il circolo giovanile cattolico sotto il patrocinio di s. Alfonso.

1921 inizia ad Incino la distribuzione postale, l’incarico di postino fu affidato a Zancanaro Giovanna (Nana Postina) classe 1892  che allora aveva 29 anni la quale resse l’incarico effettivo fino al 1965 quando si ritirò per limiti d’età, le subentrò allora  la figlia Grando Battistina che svolse l’incarico nel triennio 1965- 1968 dopo di che la posta fu distribuita dal postino di Rocca. Quest’ anno si registra la siccità più lunga mai vista ad Incino, non piovve da giugno a dicembre e il raccolto dei campi fu quasi inesistente.

1922 luglio, Incino esultava perché vedeva un suo secondo figlio salire all’altare, don Siro Nardino che tanto si era adoperato durante il chiericato insegnando canto, istruendo i fanciulli. Il 16 luglio era consacrato sacerdote e il 24 luglio celebrava quasi privatamente la sua prima messa ad Incino.

Sempre nel luglio del 1922 venne il sacerdote don Pietro Pertile non troppo esperto nè energico per reggere questo popolo, il quale approfittava della sua troppa bontà e semplicità, compromettendo l’onore e la missione del sacerdote.

1923 Intorno a quell’anno si ha la prima fotografia di Incino: si vede il campanile a punta quadrangolare parzialmente rovinato e due case diroccate.

1924 Allo scopo di avere un locale scolastico adatto, fu stabilito l’acquisto di un fabbricato per 38.000 lire. Il provveditore agli studi con nota del 30 aprile 1925 n. 5409 autorizzò l’acquisto, per cui vennero esperite le pratiche per un mutuo. Esse si arenarono per mancanza di garantire il mutuo con la sovrimposta comunale. Si deliberò di vincolare una parte dei proventi dal dazio, ma invano. Altre pratiche furono riprese nel 1936, ma le difficoltà furono maggiori, in quanto c’era la guerra d’Etiopia. Il 14 novembre: visita del vescovo di Padova Elia Dalla Costa che cresima 27 ragazzi, il paese contava 472 abitanti.

1925 l’otto maggio viene deliberato dal consiglio comunale la costruzione in cemento armato del ponte di Pria l’appalto fu assegnato alla ditta Domenico Faoro (Metolo) d’Arsiè, l’importo del lavoro fu di lire 36.118. Nel1954 il ponte venne sommerso dalle acque del lago. Progettista fu l’ing. Rasi di Feltre.

1926, con decreto reale del 4 febbraio fu istituita la carica di podestà. Dal 1926 al 1928 tale carica fu ricoperta dal dottor Sisto Zancanaro d’Incino. Il 3 giugno fu deliberato l’istituzione del mercato sulla piazza d’Arsiè da tenersi il terzo sabato del mese, ebbe vita breve, fu ripristinato nel 1934, ma la frequenza diminuì ancora e fù soppresso. Nella forma attuale, tutti i giovedì, fu istituito nel 1948.

1928 la perizia di Dalla Corte Giovanni di Feltre s’assunse l’impresa di rimettere tutto a nuovo la  nostra chiesa, ridotta a una vera stamberga, fu ripassato il coperto, il coro, gli altari, il pavimento rovinato dai cavalli. Pietro Bertapelle ebbe l’incarico di scalpellare e levigare i 4 scalini della balaustra che poi con i soldi dei fabbricieri divennero 5.  Si ebbe anche la pila maggiore dell’acqua santa, molti altri lavori si sarebbero potuto fare se tra capifamiglia e parroco si fosse avuta maggiore avvedutezza.

Le nuove campane, di materia e timbro inferiori alle vecchie, furono fuse presso una ditta di Milano ed ebbero lo stesso nome e peso: Zancanaro Domenico in Ampelio fece da padrino alla più grande, Zancanaro Antonio (Meneghet) alla mediana, la più piccola fu tenuta da alcuni minatori, poi con le corde furono tirate in cima  alla cella campanaria ricostruita ancora da Grando Francesco, furono fatte, condotte e poste sul campanile a spese del Ministero delle Terre Redente (1928).

Poi con non poche contese per disparità di pareri e dietro pressione del Podestà d’Arsiè dott. Sisto Zancanaro, fu abbattuto il piccolo capitello e in sua sostituzione si fece la nicchia in onore del Sacro Cuore e relativo altare. La Grando Battistina offrì lire 300. Nella nuova nicchia si doveva porre la statua della Madonna del Pedancino, ma per volere di don Pietro si stanziò la statua del Sacro Cuore che fu regalata da Nardino Paolo, mentre la statua di san Rocco fu donata da suo figlio Giovanni. La statua di sant’Antonio fu donata da Zancanaro Angelo fu Arcangelo (Scarper) il quale fece un altro regalo alla chiesa: la statua della Madonna del Pedancino. Le cornici e le vetrate furono opera di Nardino Paolo e figli.

A don Pietro Pertile che qui rimase 5 anni successe don Federico Mazzocco, che fece costruire l’altare del Pedancino. Si fecero i banchi al costo di Lire 100 ognuno. Finalmente Incino fu collegato alla rete elettrica per uso privato, ad Arsiè era arrivata sin dal 1910, a Rocca nel 1922. Curiosa la disavventura capitata a don Pietro Pertile: nel 1933 don Bernardino Rossi parroco di Rocca acquistò un’automobile Fiat che suscitò l’ammirazione di tutti, ma questo parroco aveva problemi ad inserire le marce, una mattina don Pietro era di passaggio a Rocca e fu invitato a salire, don Bernardino prima litigò con il cambio che non voleva inserirsi, poi innestò la retromarcia con molta fatica, e lasciò partire la macchina senza frenare andando dritto in fondo ad una scarpata. Dei due preti, il curato d’Incino fu estratto praticamente illeso, ma dalla paura se la fece addosso, più serie le condizioni di don Bernardino, malconcio, non parlava e aveva il volto coperto di sangue.

Nel 1927 si fece il secondo decennale in onore della Madonna della Salute, fu preceduto da un triduo di predicazione, la comunione fu veramente generale, la chiesa stipatissima di gente venuta da tutti i dintorni, spari di mortai, archi, fuochi pirotecnici, suonò la banda di Arsiè. Alla sera davanti alla chiesa e lungo il Saccon si fece una riuscitissima illuminazione. Al presente la chiesa è sussidiaria della parrocchia di Rocca, però Il curato d’Incino non ha nessun obbligo verso il parroco di Rocca. .1928, il prefetto di Trento propone l’aggregazione alla provincia di Trento dei comuni di Arsiè ,Fonzazo, Lamon e Sovramonte .Il 2 ottobre il consiglio comunale di Arsiè espresse la volontà assolutamente contraria a tale aggregazione e la proposta fu lasciata cadere.

Il 1929 risulta un anno tragico per la mortalità infantile, muoiono nell’ordine: Zancanaro Assunta di un mese, Zancanaro Angela di 4 mesi, Zancanaro Vittorino di 2 anni, Grando Giustina  di 14 anni  E Zancanaro Antonio  di anni 1. Bisogna risalire al 1904 per trovare un così alto numero di vittime giovani.

Fin dall’anno 1930 si conservano in archivio i registri, di battesimo, cresima, matrimonio e morti. Il decreto d’erezione a curazia sussidiaria è dell’anno 1929. La cessione d’ogni giurisdizione da parte del parroco di Rocca don Bernardino Rossi cominciò dal 1 marzo 1930.

Dal 3 febbraio venne poi don Giuseppe Carraro il quale ripassò il coperto, e comprò un armonium.

L’8 novembre 1930, ad Incino ci fu la visita pastorale del vescovo di Padova  mons. Elia Della Costa. Ecco alcuni stralci della relazione del curato: Il vescovo arriva accompagnato dal parroco di Rocca, durante la Messa somministra 66 cresime, al termine, fa l’esame di Dottrina Cristiana a 75 fanciulli. Gli abitanti sono 500 esatti, le famiglie 87, alla messa festiva mancano solo 2-3 persone, i due terzi si comunicano, la moralità è tutelata, grazie a Dio ad Incino non ci sono ebrei, protestanti, massoni, spiritisti e altri settari. Non vi sono in paese, libri contrari alla fede, alla morale e al buon costume. Ogni anno, alla seconda domenica di Quaresima si tiene, in forma solenne la festa antibasflema. Ad Incino niente scandali, pubblici o privati e nessun illegittimo. Le donne non hanno tempo a seguire la moda. Dal 1928 esistono le confraternite del SS. Sacramento e delle Figlie di Maria Quest’ultima con 25 aderenti. L’emigrazione è la vera piaga d’Incino, io non la favorirei mai, con i giovani meno ancora, ma non la si può impedire. La chiesa è soltanto benedetta, ma non ancora consacrata, ha appena 27 anni, ma per la popolazione d’Incino non è più sufficiente ma non si sa come ampliarla. Quest’anno sono nominati fabbricieri Zancanaro Giuseppe, Grando Zaccaria e Nardino Paolo come cassiere. Il Vescovo è compiaciuto e raccomanda a Don Federico di impartire ogni anno alla levatrice, allora era Zancanaro Margherita, un’adeguata istruzione su come amministrare il Battesimo in caso che il sacerdote non possa intervenire celermente. Da quest’anno si è deciso di acquistare le particole  dalle suore della casa di riposo di Fonzaso e di non farle più sul posto. Il Vescovo ordina che sia modificata l’illuminazione elettrica in chiesa, togliendo le lampadine, proibite dalla liturgia, intorno alle immagini sacre e davanti alla porticina del tabernacolo, se si vuole illuminare le immagini nelle nicchie si usino, se si vuole, lampadine nascoste con luce modesta. Sono riportate le offerte raccolte ad Incino nel 1930, per la Propaganda Fide lire 95, obolo di San Pietro lire 50, per l’università Cattolica lire 125, per la Terra Santa lire 18, per la redenzione dei Negri lire 10, per la Santa Infanzia lire 15, per i seminari diocesani lire 135, per le opere cattoliche 21 lire.

1931il 29 luglio all’età di 13 anni muore Zancanaro Camillo, caduto improvvisamente nel Cismon da dietro il Col.

1932 il 20 novembre muore Bassani Giovanna di 79 anni che cadde dal Sacon (attuale mezzaluna) e precipita sulla strada sottostante morirà dopo 24 ore per “rottura intestinale”

1933 in occasione del 20° centenario della morte di Cristo, fu costruita una serie di croci in cemento in tutta Italia, che si diceva, dovevano vedersi l’una l’altra fino a Roma. Una è visibile appena a sud d’ Incino; un ‘altra sul Col della Rocca, sopra il cimitero.

Sempre del 1933 si ha la prima cartolina conosciuta del paese: esso assomiglia molto alla sua conformazione attuale. Al luogo era attribuita un’altitudine di 525 metri s.l.m. Tale cartolina fu spedita in Francia da Cismon e ha come destinatario Borsa Camillo ( Quinto dei Bani ).

1934 la canonica di proprietà del paese è intestata alla curia di Padova.

Dal 3 aprile 1935 venne ad Incino come curato don Angelo Scarpin, che procurò il catafalco da morto, la coperta funeraria fu donata da don Siro.

Nel settembre del 1935 fu spedita a tutti gli emigranti d’Incino una lettera stampata (100 copie) per esortarli a mantenere intatta la loro fede, vivere da buoni cristiani  e ritrovarsi nella loro chiesa.

Nelle feste decennali d’Arten (15-22 settembre) venne benedetto dal vescovo Agostini il gagliardetto, riuscito molto bene nel lavoro, opera delle suore Canossiane di Fonzaso, e portato in processione per la prima volta dal presidente della neonata Azione Cattolica d’Incino, Grando Domenico.

Nel 1935 per opera specialmente dei fratelli Zancanaro Antonio ed Erminio detti Casata venne costruito ex novo in cemento il soffitto del battistero.

Il giorno 2 dicembre 1935 preceduta da un triduo di preparazione tenuto da don Francesco Caron arciprete di Cismon, ci fu la visita pastorale del nuovo vescovo mons. Carlo Agostini. Ecco alcuni stralci della relazione di don Angelo: Incino, 326 abitanti su 69 famiglie è un paese povero, il poco terreno coltivato è adibito alla coltivazione del granoturco, fagiolo, patate, e vite, gli uomini già dai 13-14 anni hanno sempre emigrato all’estero per lavoro, tanto che d’estate più di un terzo delle case sono chiuse fino a tardo autunno quando tutti rientrano per lo più dalla Francia meridionale. Dalla fine della Grande Guerra ad oggi sono emigrate all’estero 200 persone, mentre 40 sono i lavoratori che hanno lasciato la famiglia ad Incino, ma anche per loro l’addio è inevitabile.

Le giovinette in buona parte si portano in pianura a servire in casa di facoltosi, ma, quest’anno ne sono partite ben 15 dirette in Francia, ho raccomandato alle mamme di non mandare più nessuna a servire ma senza essere ascoltato.

Quest’anno è il primo del secolo in cui non si sono celebrati matrimoni, ci sono state due separazioni, ma non vi sono altri scandali, nessun illegittimo, predico di sovente contro gli amoreggiamenti lunghi e immorali, ma non sono ascoltato. Tutti in paese sono poverissimi, la presenza alla messa domenicale è quasi generale, anche nei giorni feriali partecipano dai 50-60 fedeli, in paese arrivano 6 copie della Difesa del Popolo. Questi i vizi maggiori: superbia, mormorazione, turpiloquio, onanismo, la bestemmia non è molto diffusa. Si è detto che, è meglio pigliare qui 5 lire che 15 all’estero, il guaio è che qui le 5 lire non si possono proprio pigliare.. Si è molto dibattuto di recente su una possibile apertura di un asilo retto dalle suore (sono state sentite le Canossiane) ma il problema è insolubile per la mancanza di locali. Nella chiesa d’Incino sono custodite sette reliquie, sono: Santa Croce, S. Antonio, San Luigi, San Rocco, San Camillo di Lellis, S. Agnese e una della Madonna. Tale elenco è sempre esposto in sacrestia, la reliquia della Santa Croce gode di una speciale devozione, la stessa sacrestia è un buco, la porta è troppo bassa e non vi è modo di ampliarla, inoltre non è tanto asciutta ed è piena d’umidità. Ad Incino non vi sono sordomuti vi è però una povera scema la quale fu istruita e ammessa ai Sacramenti. Il curato percepisce: 600 lire dalla popolazione, 1400 dalla Cassa Chiesa  e 1000 lire da incerti di stola bianca e nera.

Dal 24 settembre 1936 al 22 novembre 1939 fu curato don Angelo Rizzo, il quale vendette la vecchia canonica al prezzo di lire 8200. Fu indorato il tronetto del Santissimo. I maestri della dottrina cristiana presero in premio una pianeta bianca con lo stemma del Vescovo.

Il 5 maggio 1936 le truppe italiane entrarono vittoriose ad Addis Abeba, in quella campagna cadde sul fiume Tembien,  Zancanaro Natale di Incino.

Il 24 ottobre 1936 si diede principio all’anno scolastico con la frequenza di 33 alunni così divisi: 5 in prima, 6 in seconda, 8 in terza, 14 in quarta.

Dal 22 novembre il curato fece lavorare più di 20 operai per rimettere a posto la strada che dall’esercizio di Zancanaro Giuseppe (Micel) porta alla strada provinciale di Cismon. Oltre a ciò si lavorò nelle due strade Incino-Casere e Incino- Prai. Il ricavato avuto dal Comune fu dagli operai lasciato a pro della chiesa.

Il 21 gennaio 1937 avviene solenne ufficiatura d’anniversario per Zancanaro Natale deceduto in Africa orientale, volontario delle camicie nere. Ad essa partecipò un picchetto armato d’Arsiè, con gagliardetto del partito nazionale fascista, alcuni giovani fascisti di Rocca e Incino e tutti i fanciulli della scuola con gagliardetto e bandiera. In questi mesi d’inverno non venne tanta neve e di conseguenza meno degli altri anni si soffrì il freddo e la fame.

Il 14 maggio l’undicenne Vich Mario di Vittorio cadde accidentalmente nel Cismon  da 220 metri, dietro il Col , fu ritrovato cadavere il 30 maggio a Carpanè (Vi)

L’estate e l’autunno furono piovosi tanto che da lungo tempo non si ricordò, incalcolabili i danni nei campi. L’amministrazione comunale stanziò un assegno di lire 500 a beneficio del curato d’Incino, che si trovava in ristrettezze economiche e si adoperò presso il ministero dell’Interno per la concessione di un sussidio di lire 1000 annue. Il 2 ottobre si diede principio all’anno scolastico con 32 alunni di cui 11 in prima classe, 6 in seconda, 4 in terza, e 11 in quarta.

Il 27 novembre 1937 si celebrarono le terze feste decennali in onore della Madonna della Salute. Il quotidiano cattolico Avvenire d’Italia dedica un lungo articolo a queste. Alla processione partecipa il cav. Dott. Giuseppe Riva con Sisto Zancanaro ispettore di zona del Partito fascista. L’omelia è tenuta da don Siro Nardino, la banda d’Arsiè prestò lodevole servizio. Al termine il parroco di Rocca ringrazia la popolazione d’Incino, definita: povera di sostanze ma, ricchissima di fede.

Bilancio del 1937: nati 7,  morti 5, matrimoni 5, comunioni 16.500; attivo di cassa: 4.425,56 lire, passivo: 4.101,50 lire, offerte e spese eccezionali in considerazione delle feste.

Cronaca del 1938:

1 marzo: grazie a Dio, e alla povertà del popolo, in carnevale non ci furono bagordi, balli, divertimenti illeciti, ma alcuni giovani di Incino si portarono al Corlo dove si ballò fino al mattino del giorno seguente, scatenando le ire del curato. Il 27 marzo durante la predica delle anime si raccolsero lire 114,15 cifra consolante su una popolazione di 222 persone. Il 3 aprile ad Arsiè visita del federale di Belluno, le funzioni sono anticipate per dar modo a tutti di recarsi nel capoluogo, in quella circostanza le ragazze si comportano poco seriamente, e tre giovani di Incino ritornano a casa il giorno, dopo accompagnati da giovinastri poco seri.

Maggio: per metà mese si celebrano messe per implorare la pioggia, si organizza anche una processione all’oratorio di san Cassiano in Rocca, ma anche a causa della poca partecipazione la pioggia non arrivò, si organizzò allora una seconda processione a Cismon alla Madonna del Pedancino a cui partecipò tutta la popolazione e alla sera dopo la pioggia cadde a scrosci.

Il 19 settembre arrivano in gita ad Incino i cantori d’Arsego che cantano alla perfezione la messa delle nove e mezza.

Domenica 25 settembre: la prima messa viene celebrata alle 4 del mattino per dar modo alla gente d’Incino di recarsi ad Arsiè per assistere al passaggio di Mussolini, previsto per le otto del mattino. Per l’occasione molti uomini d’Incino furono chiamati ad organizzare l’evento: si prepararono archi trionfali ed esposte migliaia di bandiere tricolori.

Il 17 ottobre si apre solennemente l’anno scolastico i bambini frequentanti sono 27 così ripartiti: 8 in prima, 7 in seconda, 7 in terza, 5 in quarta.

La sera del 31 dicembre cadono 60 centimetri di neve.

Bilancio dell’anno: nati 2, morti 1, matrimoni nessuno, comunioni 12.800. Grande sconforto del curato: sono 3.500 meno dell’anno scorso.

Cronaca del 1939

Il 6 gennaio, alle funzioni i bambini vennero con una pannocchia di granoturco da donare all’opera S. Infanzia.

Dal 13 febbraio per tre giorni alle 9, alle 12 e alle 17 le campane d’Incino suonano in tono lugubre per la morte di papa Pio XI.

Dal 2 marzo questa volta suonano a distesa negli stessi orari per annunziare l’elezione di Pio XII.

Il 9 maggio: da un censimento risulta una popolazione di 210 persone. Piove per tutto il mese di maggio, il raccolto è compromesso.

Il 23 giugno verso le 15 una forte tempestata compromette il raccolto dell’uva e del granoturco.

Il 1 agosto, è celebrata una messa solenne, perché Dio scampi i nostri piccoli dalla paralisi infantile.

Il 15 agosto venne stipulato il contratto di vendita della vecchia canonica. La Nardino Giovanna (Pota) acquista per 8200 lire  l’intero edificio intestato  in ditta di Zancanaro Domenica così composto: al piano terra di un’aula scolastica, corridoio d’ingresso, cucina, cantina. Primo piano: corridoio con sei camerette, con soprastante soffitta. Da oggi ne prende possesso, in nome della madre, Nardino Cristina.

4 settembre: ha iniziato a funzionare regolarmente dopo essere stata benedetta, la teleferica che da dietro il Col collega Incino con il Corlo, serviva per il trasporto  di legna di grosso fusto. Proprietario è il signor Rigoni d’Asiago.

17 settembre, domenica alle 13.15 il dodicenne Vich Romano di Vittorio giocava insieme ai fratelli Giovanni e Mario Nardino, dondolandosi sopra la corda grande della teleferica, quando la corda metallica si disarcionò dal volante, trascinando nel vuoto i tre ragazzi. Per il pronto accorrere di un certo Zancanaro Giacomo di Giacomo di anni 25, i fratelli Nardino poterono essere tratti in salvo miracolosamente, mentre il Vich Romano trascinato dalla corda precipitava nelle acque del Cismon, abbastanza ingrossato, dall’altezza di circa 220 metri. Il giovane Zancanaro Leone di Rodolfo sperando di poter riprovare ad aiutare il Vich, scendeva fino al letto del fiume, oltrepassava la scarpata della roccia, quando ad un certo momento scivolando, cadde facendo un salto di circa 28 metri. Per l’intervento di alcune brave persone e dei suoi cugini, poteva essere raccolto, sebbene gravemente ferito, mentre il corpo del povero Vich non è stato ancora rintracciato.(è stato ritrovato dopo 7 giorni a Rivalta). La grave disgrazia ha portato dolore in tutte le famiglie della frazione  e quasi alla disperazione la madre per la tragica fine del suo terzo figlio.

Il 17 ottobre incominciò la scuola regolare, i frequentanti sono 23 bambini.

Il 22 ottobre causa la pioggia, solo 25 fedeli di Incino si portano ad Arsiè per la chiusura del congresso eucaristico interforaniale Enego-Arsiè.

Il 22 novembre partenza del curato don Angelo e contemporaneo arrivo di don Ernesto. L’ultima decisione di don Angelo fu una radicale modifica del percorso delle processioni; il percorso delle Rogazioni era sempre stato: Chiesa, Martinati, Prai, Costa e ritorno in Chiesa, constatato che l’eccessiva salita e lunghezza, era per molti fedeli causa di stanchezza, alcuni anziani tornavano in paese anche con due ore di ritardo dopo la chiusura della celebrazione, fu istituito un nuovo percorso, Chiesa –Somanzin una volta poi Chiesa -Tanisoi la volta successiva, stesso percorso con la processione del Corpus Domini, mentre per il Venerdì Santo visto che la processione era in notturna ci si recava solo  fino a Drio il Col. Ci furono proteste e mugugni soprattutto perché si temeva di perdere il buonaugurio derivante dal passaggio delle processioni il più vicino possibile ai propri possedimenti, ma il curato fu saldo nelle proprie decisioni così che rimasero in vigore fino al tempo di don Eugenio. Dal 22 novembre 1939 al 10 agosto 1942 fu curato ad Incino don Ernesto Zuccato. Durante la sua permanenza furono fatti numerosi lavori: riparata la parete dietro il coro, costruite in forati due pareti del battistero, comprato a Cismon il tabernacolo in marmo al prezzo di lire 1500.

Finalmente fu procurato il beneficio curaziale: capitale lire 30.000 depositato in curia al 5%, lire 1.000 annue perpetue avute dal municipio, legna e uva gratuita fornita dalla popolazione in quantità sufficiente.

Al momento di lasciare Incino lasciò questa relazione:

La vita del curato nella curazia d’Incino è magra quanto si vuole, sotto tutti gli aspetti. Tutti i curati vengono mal volentieri e partono contenti, la popolazione è religiosa, però un pò rude, qualche famiglia non fa il suo dovere, qualche figliola non è a posto, forse influenzata dai tempi che corrono assai tristi e corrotti, quindi il sacerdote ha il compito di sorvegliare e correggere senza risparmiare la verga (in senso morale).

Scarse le notizie durante il periodo bellico.

1940, 15 aprile: questa mattina partì l’ultimo drappello di uomini per Colle Isarco (Brennero). In paese rimangono donne, fanciulli, e una trentina di uomini attempati.

Tutti gli uomini  sono militari o sono al lavoro di fortificazione al Brennero ed a Ventimiglia. A Colle Isarco  il 24 ottobre 1940 muore colpito da una mina Zancanaro Giacomo di Domenico (Cici).

L’ 11 giugno 1940  l’Italia entra in guerra invadendo la Francia, all’offensiva delle Alpi partecipa un solo uomo di Incino: Zancanaro Gelindo (Scarper) che rimane illeso.

Il 1941 fu anno di guerra completo e di conseguenza di stenti, essendo tutto razionato. Peraltro Iddio non permise che ci fosse nessun soldato d’Incino morto, solo Nardino Giovanni (Camel) fu ferito lievemente sul fronte greco.

24 ottobre, ad Incino forte presenza di militari che alloggiano in canonica, alcune fanciulle si dimostrano leggere, vestite di corto, vengono più volte riprese in chiesa causa la loro vita scioperata.

1942: nel terzo anno di guerra si vive di pura tessera: un chilo di pane e pochi grani di riso o pasta, qualche famiglia patisce la fame.

15 febbraio, il vecchio sagrestano Zancanaro Luigi fu Giuseppe (Cul) perché impotente, rinunciò alla sua carica. Subentrò Nardino Italia col suo figlio Giovanni di anni 15. Ancora la popolazione fu benedetta dal Signore, poiché nessun soldato morì in campo di battaglia, né alcuno fu ferito. In quest’anno non si effettuò la benedizione delle case; motivo: in 5 famiglie ( 3 di Incino, 2 dei Prai ) le figliole invitarono a casa loro per diverse notti, la fisarmonica, e ballarono fino a tarda notte. Il 26 luglio si lesse in chiesa il decreto vescovile d’erezione a curazia autonoma d’Incino. Da questo giorno non si è più soggetti a Rocca. Ed il parroco don Alfredo Dal Santo, sospese il suono delle campane all’arrivare dei morti di Incino al cimitero di Rocca.

Quest’anno vede la scomparsa delle 2 donne più anziane in assoluto d’Incino sono: Smaniotto Teresa (Cana) classe 1846 che aveva 96 anni, il 4 agosto muore Strappazzon Maria Domenica classe 1845 che d’anni ne aveva 97.

1943: 8 settembre, il paesetto esulta per qualche ora alla notizia dell’armistizio, gioia subito oscurata da tristi presentimenti. Il 10 settembre un decreto di Adolf Hitler aggrega le province di Bolzano, Trento e Belluno nella regione dell’Alpenvorland, o zona di operazioni delle Prealpi ,che fu annessa direttamente al terzo Reich l’amministrazione di questo territorio fu affidata al commissario Franz Hofer, un nazista austriaco che stabilì la sua residenza a Bolzano, di conseguenza il nuovo confine tra Italia e Germania passava alla Pala della Renga.

10 novembre: seconda visita pastorale del vescovo di Padova Carlo Agostini. Ecco come  don Carlo Marini  presenta la situazione ad Incino: troppi emigranti tornati dalla Francia meridionale sono freddi e indifferenti alla fede, e il loro comportamento è un pessimo esempio per i miei parrocchiani, da deplorare anche a Incino il dilagare della moda sconveniente, ho fatto di tutto per toglierla fino a mettermi sulla porta della chiesa e a non far entrare nessuna con le vesti corte e le braccia scoperte o che non fosse in regola con i dettami della chiesa. Disturba fortemente sentire anche le donne imprecare con ostia, ostion e altro. Qui si vive nell’estrema povertà, poveri sono un po’ tutti, causa siccità, quest’anno c’è ancora più scarsità di generi alimentari, a Incino la cooperativa vende solo pane della Tessera e qualche”sardela soto sal”, uno su due non paga il funerale e nessuno ha soldi per ordinare messe per i loro morti. Ogni tanto si va a Cismon a fare un po’ di spesa ma si approfitta per andare al cinema, così in chiesa devo sempre alzare la voce perché questo sia proibito almeno ai giovani e ai ragazzi. Divertimenti e spassi qui non c’e ne sono, il ballo è una vera scuola di corruzione e si fa di tutto per contrastarlo: si predica, si minaccia, si fa a meno di benedire le case, ma è tutto inutile. Adesso bisogna anche contrastare il vizio contro la limitazione della prole, le cause: la guerra, la limitazione di tutto, il pericolo degli uomini al fronte, nella predicazione e soprattutto nel confessionale cerco con sempre più maggiore energia di togliere queste idee, come non bastasse l’emigrazione a spopolare il paese! Ad Incino non vi sono intellettuali, professionisti e neanche operai specializzati. Il curato mio predecessore (don Ernesto) era accusato  di troppa asprezza, energia e maniere dure, usate sia privatamente sia dal pulpito e la sua posizione ultimamente era molto compromessa. Il Vescovo, nella sua risposta, si rammarica che la gioventù femminile andando in mezzo al mondo assorbe facilmente lo spirito mondano, e porta anche tra questi monti la deviazione dalla vecchia semplicità  alle forme moderne e scandalose nel vestire. A termine anno gli abitanti d’Incino sono 303, le famiglie 71, niente concubinati ma due separazioni impossibili da rimuovere.

1944 nel mese di maggio arrivarono a Rocca e Incino i primi componenti della Todt, circolò la voce che i tedeschi intendessero continuare i lavori della linea ferroviaria Cismon Incino Rocca Arsiè, invece furono iniziati i lavori di fortificazione che dovevano permettere al nemico una valida difesa e protezione in caso di ritirata. Il 19 luglio a Feltre la gendarmeria tedesca, coadiuvata da spie italiane compie una spietata rappresaglia arrestando 37 persone poi imprigionate e deportate in campi di concentramento e uccidendone altre 5: il tenente colonnello Angelo Zancanaro e il figlio Luciano, diciannovenne,  sono colpiti a morte nel pianerottolo della scala dell’albergo “Feltre”. Questo episodio noto come  la “notte di santa Marina” è il più tragico della dominazione nazista a Feltre. Angelo Zancanaro ufficiale degli Alpini, dirigeva il movimento di resistenza partigiana a Feltre, era nato ad Incino nel 1884, figlio di Giacomo e Antonia Zancanaro, pluridecorato, sette medaglie al valor militare conquistate una di bronzo nella prima guerra mondiale per aver assalito, con il grado di sottotenente del 3° reggimento Alpini, una caponiera austriaca, una di argento nella stessa guerra, come capitano del 9°reggimento Arditi, per aver conquistato, con il suo reparto, il 19 giugno 1918 sul Col Moschin, con sprezzo del pericolo  e con scatto fulmineo una posizione nemica, catturando 27 ufficiali, 250 uomini di truppa, e 17 mitragliatrici. Altre 3 medaglie di bronzo arrivarono nella guerra d’Etiopia. Nella seconda guerra mondiale fu insignito di un nuovo bronzo per un fatto d’armi sul monte Golico, fronte Greco dove fu ferito ad una gamba. Trentatre anni dopo la morte, il 6 novembre 1977, con una solenne cerimonia nella caserma Zannatelli di Feltre veniva insignito, alla memoria, della medaglia d’oro al valor militare, medaglia ritirata dalla vedova signora Margherita, che, successivamente donò la medaglia d’oro alla città di Feltre che la custodisce nel museo del Risorgimento.

24 luglio 1944: agli occhi degli abitanti d’Incino s’offerse un ben triste spettacolo. L’incendio di un gran numero di case del Corlo ben 22, ad opera dei Tedeschi.

Domenica 24 settembre 1944, alla sera viene fatta dai Tedeschi una perquisizione insieme a un rastrellamento, un camion caricò nella tarda serata 20 uomini di Incino, curato compreso, che passarono la notte a Rocca al bar dalla Corona, alla mattina seguente dopo esame dei documenti, vengono rimessi in libertà. Incino è posto sotto coprifuoco: si poteva circolare dalle 9 alle 11 e dalle 15 alle 17.

Il 25 settembre  morì Pederobba (Tv) il compaesano Zancanaro Natale figlio di Giobatta (Tino).La notizia si seppe un mese dopo. Nel rapporto dei reali Carabinieri di Arsiè vi è scritto: Zancanaro Natale era sul monte Grappa quando fu rastrellato e identificato quale partigiano, arrestato fu accompagnato a Pederobba  dove fu impiccato quello stesso giorno. Il suo sacrificio è ricordato con un cippo di marmo posto sulla strada che da Onigo porta a Levada che reca il testo: Zancanaro Natale di anni 18 martire della libertà, Pederobba 25 settembre 1944, e da una lapide di marmo, posta su un edificio in via Roma sempre a Pederobba,

Duro fu l’inverno tra il 1944 e il 1945: i forni erano senza farina, la razione giornaliera di pane nero, fu ridotta a 150 grammi senza sale a persona, quando c’era la farina mancava la legna, freddo nelle case e nelle aule scolastiche di fortuna, quelle esistenti erano occupate dai tedeschi, pochissimi i frequentanti alle lezioni per paura delle incursioni aeree.

1945: domenica 1 maggio: gli Incinesi di ritorno da un funerale ad Rocca (Nardino Pietro Conco) trovano in paese i primi soldati inglesi e americani, grande festa per tutti, anche perché quel giorno nascono due bambini : Nardino Luigi (della Teresina) e Campanaro Angela (Lina). 9 maggio: solenne Te Deum di ringraziamento.

Domenica 13 maggio: in ringraziamento dello scampato pericolo bellico fu incominciato il capitello dei Somanzin intitolato alla Madonna di Lourdes. Tutti contribuirono alla sua costruzione portando sassi, sabbia, lavorando come muratori e manovali. All’interno furono poste le statue della Madonna, donata da Zancanaro Laura, di Sant’Antonio di Padova offerta da Zancanaro Angelo Antonio e di san Giuseppe dono di Zancanaro Romano.  Durante i lavori arrivò la notizia della morte di Zancanaro Mario (Casere) deceduto di tubercolosi il 1 giugno 1944 in  Germania nell’ospedale militare di Lamsdorf

Tutti i soldati d’Incino tornarono fuorché Zancanaro Ermenegildo (Gildo dei Prà) che fu uno dei 28 militari d’Arsiè ufficialmente dichiarati dispersi.

Alla fine dell’anno su iniziativa del Vescovo di Padova mons. Agostini, la Curia vescovile, invia un questionario a tutti i parroci della diocesi per essere informata in relazione degli avvenimenti verificatosi nelle singole parrocchie durante il periodo della guerra 1940-1945, qui di seguito viene riportato integralmente le risposte che don Carlo Marini, curato di Incino, inviò a Padova.

Parte morale: gli sfollati qui ad Incino sono 42 dei quali 37 da Cismon e 5 da Torino. Prigionieri (sotto Inglesi o Americani): 11.Internati in Germania: 9 nei campi di concentramento e 4 come lavoratori. Poveri(veri): nessuno, poveri(veri poveri):7.Iniziative: gli sfollati vennero immessi nella vita religiosa del paese, i fanciulli coltivati nella dottrina assieme agli altri, si trovò alla maggioranza degli sfollati la casa e ai 5 provenienti da Torino e stabilitisi ad Incino per lavorare nella Lancia di Cismon provvisti in un primo tempo di casa,legna,farina,fagioli,patate e poi soccorsi di quando in quando, anche altri 3 sfollati da Cismon più bisognosi vennero soccorsi dal curato e da due famiglie private.

Con i prigionieri non fu possibile far nulla, se non scrivere alcune volte alla Croce Rossa e all’ufficio in Vaticano. Con i soldati internati ci si tenne in corrispondenza bimensile finché fu possibile e spedendo ad essi librettini, ricordi eccetera.

Con i poveri si fecero distribuzioni di denaro (cassa pane di sant’Antonio, 3 volte al mese) e si raccomandarono altri alla mensa della Todt. In genere Incino, specie nell’ultimo anno, non soffrì per la fame perché aiutato in mille modi dalle paghe del lavoro nella O.T. e della mensa della stessa O.T. Lavoravano a Incino circa 150 operai di Rosà, Asolo, di Castelletto Vicentino.

Assistenza religiosa: per facilitare l’adempimento del precetto festivo si portò la prima messa molto per tempo al mattino, e la seconda alle 3-4 del pomeriggio. In occasione della sagra in paese vi fu una predicazione speciale di 3 sere. In generale i lavoratori della O.T. tennero un contegno molto serio; non ci furono ne balli, ne altri scandali, la chiesa si riempiva tutte le feste. Pericoli: scredito della festa dal lato del riposo festivo (il lavoro era obbligatorio), certa smania di divertimento in un primo tempo dopo l’insurrezione, un tentativo di ballo il giorno stesso della pace fu completamente soffocato dalla sola presenza del sacerdote che, senza dir parola, si fermò serio a guardare a breve distanza.

Bombardamenti: qui ad Incino nessuno, però bombe sganciate sui ponti di Cismon vennero a cadere ai Martinati e alle Casere, quindi per paura si filava quasi tutti e sempre in galleria qui numerose e ben protette. Mitragliamenti sui ponti di Cismon e per conseguenza pallottole su Incino in diverse riprese, una persona fu colpita da un mitragliamento dei partigiani del Grappa, ebbe braccio e femore passato da pallottole, altra persona, trapassato il piede da altre pallottole.

Rastrellamenti: quello del 24 luglio 1944 su Incino e il Corlo, data in cui fu bruciato il Corlo: circa 25 case, Incino grazie a Dio, completamente esente da incendio e stragi, altro rastrellamento, quello del 19 settembre 1944 in cui vennero deportate alla Rocca 15 paesani, insieme al loro curato che poi  il giorno dopo ottenne di passare gli otto giorni di prigionia nella stessa casa canonica insieme ai suoi parrocchiani. In questa circostanza lasciò la vita sul Grappa come partigiano un parrocchiano Zancanaro Natale di Giovanni Battista, altri schivarono la morte per miracolo, specie Grando ….di fu Giuseppe, il quale fu già per essere fucilato e poi lasciato libero.

Parte materiale opere eseguite: in chiesa presbiterio, gli stalli in legno, altri lavori in occasione della visita pastorale, ultimo l’erezione di un capitello alla Madonna in una svolta di Incino che serve nell’occasione della processione del Corpus Domini delle rogazioni e nelle processioni fatte in occasione di siccità, fu un voto fatto dal paese  per avere la Madonna salvato il paese nell’occasione della ritirata delle truppe tedesche. Incino pur essendo in grave pericolo non ebbe nessun morto, il capitello (3 metri di larghezza per 4 di lunghezza) è ora portato al coperto, il paese tutto contribuisce. La casa canonica ebbe una decina  di lastre rotte a causa di bombardamento, più tre soffitti scrostati per lo stesso motivo ora si sta riparandola, spesa non so, ma certo non grande (due o tre giornate di un muratore)

Parte personale. Il curato ebbe qualcosa a soffrire nell’occasione dei vari mitragliamenti, rastrellamenti, bombardamenti, ma nessuna ferita seria nel rastrellamento del 19 settembre 1944 venne pure lui preso, caricato con gli altri su un camion e condotto alla Rocca ove passò in un’osteria la notte. Il mattino seguente era rimandato con i parrocchiani ad Incino e sorvegliato assieme a loro nella casa canonica, però poté comprare con regali il permesso di poter celebrare la santa messa:

Dal 4 ottobre 1942 al 10 novembre 1948, fu curato don Carlo Marini di Carrè (VI), durante la sua permanenza furono portati a termine: il capitello, voto di guerra, Fu fatta pure la gradinata attorno alla chiesa. Rifatta tutta la canonica con davanti lo steccato e il muro di sostegno. I 6 candelieri grandi furono donati da Zancanaro Matteo. Furono messe via lire 62.000 come patrimonio del curato, la guerra ha però rovinato completamente il piccolo patrimonio del curato, per questo il Vescovo non può mandare altri curati sul posto.

1946 il 29 novembre muore Grando Luigi cadde di sera in un burrone presso il Col di Menat, fu ritrovato la sera del giorno successivo dopo che tutto il paese si mobilitò per trovarlo.

Il 4 febbraio 1947 cade una grande nevicata 1,30 metri di neve, si è incerti se salire sui tetti per liberare il coperto.

Due matrimoni in regola, con il suono delle campane, mentre durante la guerra v’era stato qualche matrimonio poco in regola e allora il curato fu obbligato a sposarli alla mattina, per tempo, alle 7, senza suono di campane, senza esteriorità, perchè indegne (le spose erano incinte) Né valsero preghiere né insistenze, però la legge fu uguale per tutti.

Nel 1948 da censimento  la popolazione d’Incino risulta di 218 persone.

Il 26 giugno, a Venezia viene consacrato frate minore Angelo Grando nato ad Incino (Tanisoi) il 15 luglio 1922, da Virgilio Grando e Cecilia Zancanaro, assumerà il nome di padre Evangelista, riceverà la consacrazione dall’allora Patriarca Adeodato Piazza, nella chiesa della Madonna della Salute.

Il 10 novembre 1948 don Carlo Marini lasciava Incino. Il buon sacerdote dopo aver portato la croce per oltre sei anni sul dirupo d’Incino, come un solitario eremita del deserto, soffrendo solitudine, incomprensioni, disagi d’ogni genere e perfino scarsezza di nutrimento, veniva finalmente, dopo ripetute petizioni, traslocato per porre fine al suo lungo calvario e riabilitarsi nella sua malferma salute.

Nel frattempo con una lettera del vescovo Bordignon al parroco di Rocca, era incaricato, con tutti gli onori e responsabilità e in via provvisoria come vicecurato don Cesare Zoccoletto, allora cappellano a Rocca, il quale rimase in carica fino al 27 luglio 1949 quando fu nominato parroco di Collicello di Valstagna.

1949: 2 marzo, primo giorno di quaresima, benedizione ed imposizione delle Ceneri. La chiesa è zeppa di fedeli, viene annunciato la disposizione di papa Pio XII circa il digiuno e l’astinenza che ritornano in vigore dopo 7 anni di sospensione causa la guerra e la carestia.

Il 18 maggio 1949 alle ore 18 don Cesare, alla presenza di tecnici e maestranze benedice l’inizio dei lavori della diga. L’inizio di tali lavori suscitò notevoli attese nella popolazione per via dei mille posti di lavoro promessi, ma poi solo 250 effettivamente impiegati, ma  lasciò esterrefatti gli abitanti d’Incino e di Rocca: due ditte danno inizio ai lavori in due posti diversi, la società Smirrel attacca i lavori d’impostazione della diga nei pressi del ponte di Pria, mentre la ditta Saici intraprende i lavori 300 metri più a sud nel posto dove sorgerà effettivamente la diga, tale sceneggiata, con relativo spreco di denaro pubblico si protrae per diversi mesi con relativi dispetti tra le due ditte. La questione venne infine risolta, il 12 novembre con la fusione delle due società, nasce La Basso Cismon-S.I.I.A.(società idroelettrica irrigazione per azioni) che porterà a compimento l’opera per poi passare la gestione alla Selt Valdarno e poi all’Enel nel 1963.

Il 22 maggio 49 persone d’Incino  guidate dal vice curato partono in corriera per un pellegrinaggio alla beata Vergine di Monte Berico.

5 luglio passaggio della Madonna Pellegrina. Alle 21.30 la popolazione si reca alle Laste, località di confine tra Incino e Rocca ove prende in consegna la statua.Tra fiaccole e grandi fuochi la processione arriva in chiesa alle 23.15, licenziate le donne, alle 0, 30 messa d’inizio, poi veglia fino alle 4, quando cominciano ad affluire le donne. Il 6 luglio mattino e pomeriggio pieno di celebrazioni, alle 17.30 solenne chiusura con predica sul piazzale della chiesa a mezzo altoparlante, alle 20 e 30 in processione viene riaccompagnata alle Laste per essere riconsegnata al parroco di Rocca.

Altissimo il numero di comunioni: 180 su 215 abitanti, non si presentarono ai sacramenti solo 4 persone; 2 perché vivevano in stato peccaminoso, 1 perché in montagna, 1 perché indifferente.

Il 31 luglio 1949 don Cesare salutava la popolazione d’Incino presso la quale il suddetto, confessava di essersi trovato proprio bene.

Il 19  aprile 1949 con censimento locale gli abitanti d’Incino sono 217, uno in meno dello scorso anno, i residenti fuori paese per lavoro o all’estero sono 53. Numero delle famiglie 62.

Nuovo curato era nominato don Antonio Pavan nato il 29 marzo 1913.

Don Antonio ha prestato servizio ad Incino dal 10 agosto 1949 al 4 giugno 1957 è partito dal paesello conservando tanti e cari ricordi perché qui si prepararono per l’estremo passo i suoi genitori.

Questa la sua relazione completa sugli anni passati ad Incino:

“Un folto gruppo di persone desiderose di una vita più cristiana anche da parte dei giovani spensierati e delle giovani sbrigliate, bramava ardentemente di avere un sacerdote sempre ad Incino affinché fosse di monito ai cattivi, di guida agli sbandati, e sostegno ai buoni. Questo gruppo di buone persone è stato per me un valido aiuto sul campo del mio apostolato. Ho trovato in tanti un grande amore per la loro chiesa, per le feste tradizionali del paese. Subito ho notato però, che la gioventù era quasi tutta intossicata, dal vizio impuro della bestemmia, ci sono bambini di 3-4 anni che bestemmiano di continuo, da una grande leggerezza, e di spirito diabolico d’indipendenza dai genitori e dal sacerdote.

In seguito ho scoperto che l’origine del male era antico e che ora stava sviluppandosi enormemente per mezzo dei balli, della stampa oscena, degli amoreggiamenti illeciti e dei tristi esempi.

Le occasioni che determinarono un crollo ancora più spaventoso della moralità, furono soprattutto il passaggio delle truppe tedesche, americane, partigiani e degli operai adibiti alla costruzione della diga. Il linguaggio corrente e naturale di questi operai era condito con enormi bestemmie, eresie, e da impure espressioni. Ci sono stati 6 illegittimi, 4 separazioni e un concubinato. Le feste in tale periodo sono state quasi sempre profanate dal lavoro. Non mi stanco di ripetere ai miei parrocchiani che ho paura di stare in mezzo a voi perché temo di essere colpito dai castighi divini a causa delle vostre bestemmie.

Senza dubbio questi tristissimi esempi hanno concorso a demolire maggiormente il senso della religiosità della popolazione d’Incino.

Un’altra insidia meno appariscente ma più terribile era il protestantesimo che con la sua nascosta capillare propaganda stava guadagnando numerose famiglie. A fermare tale movimento, e a curare tante piaghe morali, a buon punto è sorto un nuovo gagliardo spirito Mariano, che ha dato e darà ancora ottimi risultati. Il ricordo annuale della Madonna Pellegrina fatta di tre giorni di predicazione con la finale processione notturna della Vergine, illuminata da migliaia di candele, ha sostenuto i buoni, ha vinto i vacillanti e ha inchiodato i cattivi nelle loro primitive posizioni, è stata, io credo, una cosa veramente provvidenziale! Non poco ha concorso, per la diffusione del bene, la buona stampa, ora ad Incino arrivano 29 copie di Famiglia Cristiana, 10 settimanali “ La difesa del Popolo”, e quasi 100 giornali per gli associati di Azione Cattolica. In un altro settore ho speso molte energie ed ho usato parole dure, anche dal pulpito, è stato per convincere gli uomini d’Incino a non aderire a quei partiti che si sono messi in contrasto con la Chiesa, vale a dire il PCI e il PSI, e qui ho ottenuto buoni frutti. La quasi totalità della popolazione è democristiana, nelle ultime elezioni ha votato cristianamente e con spirito di comprensione dell’ora presente, ho cercato di illustrare con prove e fatti il grande pericolo del Comunismo inculcando a tutti, che a noi è stato riservato il dovere di combattere e vincere questa satanica ideologia marxista.

Per il culto è stata fatta la carretta per portare i Santi in processione ed è costata 99.000 lire. Il castello delle campane era in legno e ormai stava per crollare, allora fu costruito un altro ma di ferro con testate alle campane pure in ferro e con ruota intera.

1954 ad Incino si vedono le prime motociclette, in primavera Zancanaro Giacomo (di Milgio) acquista una Vespa 125, in agosto Vich Anselmo (Selmino) appena acquistata una Lambretta è vittima di un mortale incidente: davanti alla stazione ferroviaria di Cismon sbatte contro un furgone e per le gravi ferite riportate alla testa spirerà poco dopo nell’ambulatorio del dottor Fanzago, è il primo morto d’Incino per incidente stradale.

Nell’anno scolastico 1955-1956 la scuola d’Incino contava 24 alunni, gli insegnanti erano due.

1955 nelle elezioni amministrative di quest’anno viene eletto consigliere comunale Zancanaro Domenico (Meno di Appolina) che resterà in carica fino al 1960, in seguito saranno eletti a far parte del Consiglio altri 2 uomini d’Incino: Nardino Claudio dal 1980 al 1985 e Zancanaro Nello dal 1990 al 1995 quest’ultimo ricoprirà per alcuni anni anche la carica d’assessore all’Ecologia e all’Ambiente.

1956 il direttore didattico dott. Pietro D’Angelo in seguito all’inclusione del nostro Comune nel piano b incoraggiò l’amministrazione a svolgere le relative pratiche per il nuovo fabbricato scolastico. Il provveditore mise a disposizione del Comune lire 500.000. Il manufatto iniziato nella primavera del 1957 fu ultimato nell’autunno dello stesso anno. La spesa complessiva fu di 1.770.000 lire.

Il 7 dicembre 1956 prima visita pastorale del vescovo di Padova Girolamo Bordignon, visita che dura 2 ore esatte, cresima 11 giovani. La relazione di don Antonio è lucida e spietata, ecco come sono descritti i mali d’Incino: 1) troppa indulgenza, debolezza e mancanza di sorveglianza da parte dei genitori. Le donne avendo lontano i mariti, essendo più deboli, molte volte sono incapaci di imbrigliare  la focosità e lo spirito d’indipendenza dei figli, troppe volte devo richiamare i genitori alla loro grave responsabilità sulla sorveglianza dei loro figli nel tempo del fidanzamento che a volte incomincia in troppa giovane età. Purtroppo molti genitori al giorno d’oggi non compiono questo loro grave dovere, di tale omissione discendono ora funeste conseguenze: nelle loro famiglie manca l’amore, la pace e il benessere. Abbiamo constatato che tra le parrocchie della foranea di Fonzaso, Incino  è primo in molte cose, ma è purtroppo primo anche nell’immoralità! Il peggio è che si cerca di giustificare il male e di diminuirlo non valutandone la gravità e le conseguenze disastrose di non avere più  quel pudore, umiltà e riservatezza che si dovrebbe avere almeno dopo la colpa! Anzi pare proprio che l’immoralità sia difesa e portata in trionfo! Con cadenza settimanale devo richiamare le donne circa la moda scandalosa, ho anche espulso dalla chiesa diverse giovinette, i genitori sono specialmente colpevoli perché mandano le figlie in chiesa senza velo e senza calze. 2) gli emigranti portano a casa più vizi che denaro. L’anno scorso ci furono 4 separazioni, questi frutti tossici sono stati importati dagli emigranti ritornati dalla Francia. La voce carnevalesca del mondo ha più seguito di quella del sacerdote! Più di una volta ho chiesto a certi genitori che mi facessero avere gli atti di battesimo dei figli nati in Francia, fiato sprecato! 3) i sei anni di lavoro per la costruzione della diga hanno portato un dissesto incalcolabile alla moralità, la lettura di riviste oscene, lette e passate di nascosto hanno sconvolto la mente e i cuori dei giovani. 4) qualche ragazza d’Incino non trovando nel piccolo paese alcun giovane per unirsi in matrimonio si attacca al primo straccione che passa rimenandone spesso vittima. 5) le condizioni economiche d’Incino sono assai miserabili, sui visi di tante persone si vedono i segni di una vita stentata e povera, basta dare un’occhiata d’insieme alle case, al terreno e alle persone per farsi un’idea esatta della situazione, inverni lunghi e rigidi che toccano alle volte i meno 30 gradi, esigerebbe per i suoi abitanti un cibo più nutriente e abbondante e invece è scarso e magro. 6) un altro comandamento che ho dovuto far ripassare ai miei parrocchiani è il settimo, ho constatato che qualche persona ha le unghie troppo lunghe! 7) esiste la cassa del Pane e dei Poveri la quale è proprio povera perché non ha mai denaro, ma quando sono avvenuti i disastri del Polesine e di Salerno, la popolazione ha ben corrisposto in generi e denaro. Altri motivi di discordia ad Incino sono: litigi tra i piccoli di una famiglia con quelli di un’altra. Le galline che vanno nel campo altrui. Divisioni mal fatte di beni ereditati. Invidia per la prosperità altrui.

Don Antonio lascia Incino il 4 giugno. I registri curaziali riportano fedelmente l’obbligo della questua: ogni famiglia doveva versare i seguenti quantitativi di derrate: a) 5 piante di faggio con ramata, b) uva: 10 chili, c) patate: 10 chili, d) fagioli: 2,5 chili. Per uva, patate, e fagioli si potevano portare il corrispondente valore in denaro.

1957: Il 6 giugno arrivò il nuovo curato don Eliseo Salmaso, subito la Curia di Padova pensò di nominare curato don Sergio Bartolomiello allora cappellano ad Arsiè ma questi declinò l’incarico. L’amministrazione comunale dispone il rifacimento dell’impianto dell’illuminazione pubblica su tutto il comune, per Incino vengono stanziati 36.099 lire, vengono posizionati 7 punti luce.

Tragica è l’estate del 1957: L’11 luglio muore nel rogo della sua abitazione ai Cici, Zancanaro Celeste fu Giovanni. Il 14 luglio muore a 6 anni cadendo da una masgera Aldo Nardino (conco).

1958 il 15 agosto si celebra il decennale in onore della Madonna della Salute. Festa celebrata in tono minore per quanto riguarda l’apparato esterno, per mancanza di braccia atte ai lavori, ma con intensa partecipazione spirituale. La festa è stata celebrata in anticipo rispetto al 21 novembre per questi motivi: possibilità di avere giornate crude in novembre, la presenza di molti emigranti che vengono per le ferie, molto più difficile averli per novembre. Il triduo di preparazione è stato predicato da don Dino Secco parroco di Cismon; Mons. Bartolomeo Codemo  cappellano dell’istituto Fatebenefratelli di Bassano ha celebrato la messa solenne. Alla sera verso l’imbrunire vespri, indi processione con la venerata statua della Beata Vergine della Salute per le strade illuminate, fino al capitello.

Ottobre 1958: hanno inizio i lavori per la costruzione del nuovo cimitero la spesa a carico del Comune fu di lire 2.165.000.

Un calcolo del Comune stima la produzione  d’uva ad Incino in circa 1000 quintali di cui un terzo d’uva bianca.

In autunno ad Incino arriva una grande novità: la Sip collega il paese alla rete Telefonica nazionale, il primo centralino viene collocato nella casa di Zancanaro Pasqua (Milgia) allora titolare sia di un’osteria che di un negozio d’alimentari.

1959, 10 maggio: viene sepolto il primo morto, Martinato Francesco nel cimitero non ancora benedetto. Prima di allora i morti venivano sepolti nel cimitero di Rocca, e ciò fin dal 1674. Prima ancora la sepoltura avveniva nel cimitero d’Arsiè.

4 luglio: benedizione del  cimitero, mons. Girolamo  Bordignon vescovo di Padova arriva ad Incino alle 17. Nella chiesa amministra la cresima ad alcuni bambini, benedice la statua della Madonna che pellegrinerà per le famiglie. Poi ci si porta a piedi nel nuovo cimitero per la solenne benedizione.

Fra le autorità da ricordare: mons. Angelo Zanella vicario foraneo e parroco di Fonzaso, don Francesco Vidale parroco di Rocca, don Dino Secco parroco di Cismon. Presente sindaco e vicesindaco d’Arsiè.

5 luglio 1959: ha inizio la pelegrinatio Mariae per le famiglie. Ogni giorno la Vergine visita una famiglia, accolta ovunque con entusiasmo  e con viva fede, la santa immagine è stata portata anche al Corlo ove rimase tre giorni. La chiusura del pellegrinaggio avvenne nella prima domenica di settembre.

4 dicembre, santa Barbara: elettrificazione delle campane. Il lavoro era stato cominciato qualche mese prima, ma per mancanza di corrente elettrica non aveva dato esito soddisfacente. In novembre la società elettrica di Bassano rinnova tutta la linea dal ponte di Cismon ad Incino portando in paese la corrente trifase. La ditta Fagan di Marola  di Vicenza può completare il lavoro ed oggi festa di s. Barbara fa squillare in perfetto concerto le tre campane.

1960, il 17 giugno  il curato don Eliseo parte per la nuova destinazione: vicario economo di san Giovanni di Bigolino (Tv).

Il 23 giugno del corrente mese è nominato curato d’Incino don Bruno Nardo che lascia Fratte di Santa Giustina in Colle per venire in questa piccola frazione montana,  dove la popolazione, buona, religiosa, lo accoglie quale Padre amoroso d’anime.

Il 15 agosto don Bruno benedice il nuovo capitello delle Casere, dove era stata istallata una statua della Madonna Pellegrina, è un sacello del tutto moderno a pianta rettangolare sostenuto da due pilastrini, ora la messa è celebrata di tanto in tanto. Il 26 agosto con decreto del Presidente della Repubblica la curazia d’Incino viene riconosciuta a tutti gli effetti civili. Il 27 ottobre tre chierichetti d’Incino entrano nel seminario minore di Thiene, dopo aver superato brillantemente gli esami di ammissione. Altri 2 giovani entreranno in seminari gestiti da religiosi ma solo uno dei cinque arriverà al sacerdozio.

1961: Il 19 agosto  viene come curato don Eugenio Alberelli. Sono tante le sue realizzazioni: sistemazione degli altari e del coro, tinteggiatura di tutta la chiesa, fu fatto l’impianto del riscaldamento, il pavimento di marmo grazie ad un contributo di lire 1.200.000 erogato dalla prefettura, e il tetto in lamiera. Fu anche ristrutturata la canonica. Per far fronte alle spese, più di 5.000.000, tutti gli abitanti d’Incino fecero a gara per finanziare i lavori. Non mancò neppure l’aiuto di papa Giovanni XXIII il quale donò alla chiesa lire 100.000. Purtroppo in questo periodo furono venduti gran parte degli oggetti sacri di cui era dotata la chiesa: sedie del coro, pile, crocefissi, e altro, con disappunto che dura tutt’oggi.

Nel mese di marzo è benedetta la statua di sant’Antonio installata nel capitello dei Tanisoi. In autunno  la Sad prolunga la corsa della corriera Arsiè –Rocca fino ad Incino  con tre corse giornaliere, alle 7 alle 14 e alle 18, la fermata è posta a Drio el Col e non in piazza della Chiesa, perché  alle Caneve l’abitazione di Zancanaro

 Valentina impediva il transito anche alle automobili (tale casa sarà demolita solo nel 1968). La prima corsa di corriere ad Incino era stata istituita fin dal 1954, la ditta

Cometto di Feltre istituì il servizio che durò poche settimane perché non si trovò l’accordo sulla somma che l’amministrazione comunale doveva versare per coprire le spese, ma nel 1961 la corriera fu portata fino ad Incino perché con l’istituzione dell’obbligatorietà  della scuola media unificata, il Comune doveva assicurare il  trasporto degli alunni.

Nel 1963, in quest’anno viene rifatto l’acquedotto d’Incino. Il lavoro fu eseguito dall’impresa Lorenzini-Brandalise. L’acqua venne captata da una sorgente posta nelle vicinanze d’Incino a quota 400 m. (sul Col), dove è stata costruita una vasca deposito, da cui parte la conduttura per Incino e per il Corlo. La spesa fu di lire 5.000.000. In quest’anno la popolazione ammonta a 181 residenti, con 59 famiglie, negli ultimi 5 anni sono partite 18 famiglie.

Nel 1965 fu asfaltata la strada che da Rocca porta ad Incino, mentre nel 1970 fu asfaltato il tronco Incino – confine Cismon. In quell’anno in paese c’erano 5 televisori, 2 in canonica, 3 in case private. Tra il 1964 e il 1965 funzionò in canonica il cinema con grande soddisfazione dei giovani, ma dopo un anno fu sospeso perché i ricavi non coprivano le spese.

Sempre nel 1965 il vescovo Bordignon arriva ad Incino per la seconda visita Pastorale. Nell’occasione amministra la cresima ad un gruppo di giovani. Allora alla messa festiva partecipava la quasi totalità della popolazione, mancavano non più di tre-quattro persone, sempre le stesse, alta anche la frequenza ai Vespri, mai meno

di 80 fedeli sempre presenti, alla sera d’estate minimo 30 persone si recavano ogni giorno al cimitero per la recita del Rosario. Dal 1956 al 1965 sono celebrati 7 matrimoni, i morti sono 20. Le famiglie che hanno lasciato il paese sono 18. Gli operai che lavorano all’estero sono 27, in Italia 15. L’anno si chiude con l’ultima scomparsa che colpisce un giovane d’Incino: il 29 dicembre muore a 9 anni di leucemia, Zancanaro Rosanna  di Lorenzo (Tanisoi).

1967 a fine giugno don Eugenio lascia Incino, ridotto a 136 abitanti e la curazia ritorna alle origini cioè sotto l’autorità del parroco di Rocca allora don Lino Minuzzo.

1970, giugno, al termine dell’anno scolastico è chiusa per mancanza di studenti la scuola di Incino, gli ultimi a frequentare la prima elementare furono Zancanaro Stefania e Zancanaro Moreno. In estate la borgata dei Tanisoi viene collegata alla strada comunale con una bretella che permette l’ingresso diretto. A dicembre con la morte di Grando Antonio (Toni della cooperativa) si chiude uno dei due negozi di generi alimentari, il suo era rimasto aperto ininterrottamente dall’immediato dopoguerra.

1973 la popolazione d’Incino scende sotto le 100 unità, a fine anno saranno 97 abitanti.

1974, 8 ottobre: terza visita pastorale del vescovo Bordignon. Abitanti 92, famiglie 37, il 60 % vanno a messa, è ancora diffuso il vizio della bestemmia  insieme al furto, la malignità e la cattiveria reciproca scrive don Giuseppe Cherubin.

1975 muore Zancanaro Angela sorella di Angelo (Puiol), è stata la prima suora nativa d’Incino con il nome di Suor Paola, successivamente, prese il velo Zancanaro Maria figlia di Zancanaro Angelo (Puiol) e Strappazzon Giovanna (Baiana) deceduta a 77 anni il 29 agosto 1989, assunse il nome di suor Antusa, i suoi resti riposano ad Arsiè. Terza suora originaria d’Incino (Pomer) è Valentina Grando classe 1932 di Gelindo e Maria Martinato tuttora vivente con il nome di suor Adiodata, prestò servizio per decenni come guardarobiera all’ospedale di Vittorio Veneto attualmente si è ritirata nella casa madre. Tutte queste tre suore facevano parte dell’Istituto delle Suore della Misericordia di Verona.

1976 il 6 giugno a Padova, consacrazione sacerdotale di don Sandro Borsa, è il terzo compaesano ad entrare nel presbiterio diocesano. Quasi tutto il suo sacerdozio lo passerà come missionario in Kenia.

1979 11 febbraio,  in una giornata cade un metro di neve, in marzo De Montis Anna di Giacomo Zancanaro chiude l’ultima bottega d’alimentari acquisita dalla madre di Giacomo (Milgia).

1983 31 dicembre: chiude in piazza  l’ultima osteria gestita da Zancanaro Antonietta.

1985 il 15 gennaio nuova nevicata record: cade un metro e trenta centimetri di neve, tutto il Feltrino è messo in ginocchio, anche Incino rimane isolato per due giorni. L’otto dicembre di quell’anno per iniziativa di tutti gli uomini del paese fu allestito in piazza il primo albero di Natale, consuetudine che da allora si è sempre rinnovata fino ad oggi.

1987 con proprio decreto, il vescovo di Padova mons. Filippo Franceschi decreta lo scioglimento della curazia d’Incino con effetto 1 gennaio .L’indipendenza della chiesa d’Incino dalla parrocchia di Rocca è durata 57 anni. Residenti ad Incino: 57 persone, le famiglie sono 29, i ragazzi sotto i 14 anni sono 2, giovani sotto i 27 anni  sono 11, gli adulti fino ai 65 anni  sono 28 e gli anziani ultra sessantacinquenni 16 di cui 12 femmine.

1990 sono eseguiti ad Incino una serie d’opere pubbliche assolutamente necessarie: viene allargata la strada Rocca- Incino con la costruzione di molti muri di sostegno, l’acquedotto venne collegato a quello della Rocca  il paese viene dotato di un’illuminazione pubblica adeguata. Di tutti questi lavori il più apprezzato fu  la sistemazione definitiva dell’acquedotto, quello precedente che partiva dal Col era insufficiente per captazione alla sorgente, provocava tutte le estati, per l’aumento della popolazione, e sovente d’inverno, crisi d’approvvigionamento nelle abitazioni con grave disagio per gli abitanti costretti prelevare l’acqua dalla fontana in piazza, ad attendere che l’esercito o privati riempissero la vasca della fontana. Tutti questi lavori furono pianificati e finanziati dall’amministrazione Dall’Agnol in carica dal 1985. Fu finalmente messo termine a decenni d’abbandono e trascuratezza cui era stato lasciato il paese dalle amministrazioni democristiane fino allora succedute. Nel mese di giugno si assiste al secondo totale svuotamento del lago, necessario per ripristinare le opere di sicurezza.

L’allargamento della strada sopra citato permise alla Dolomitibus il ripristino della corsa Rocca-Incino sospeso 5 anni prima per mancanza di sicurezza.

1993 in aprile viene aperto ai Prai, su iniziativa di Carlo Miglioretto di Solagna, l’agriturismo Al Ciod, non c’e mai stato in precedenza nella zona d’Incino nessun locale adibito alla preparazione dei pasti. Da ricordare che l’apertura di quest’attività ha provocato un alto tasso di tensione con tutti gli altri abitanti della borgata.

1997, tre marzo, pesca eccezionale per Luigi Brandalise, nelle acque del Cismon cattura una trota lunga 85 centimetri dal peso di sei chilogrammi e mezzo.

1999 29 maggio, nella chiesa di Incino si uniscono in matrimonio Zancanaro Maria Rosa e Cavalli Simone di Valstagna, la Maria Rosa è l’ultima sposa  a salire all’altare della nostra chiesa, altre non c’è ne saranno perché non c’è più gioventù.

2000 la famiglia Ferraro di Cismon termina di rifornire Incino di frutta e verdura. Nel 1950 Angelo Ferraro (Feia bianca) ottenne la fornitura di derrate alla mensa degli operai addetti alla costruzione della diga posta alle Cusine, nel ritorno si fermava ad Incino dove vendeva soprattutto prodotti agricoli, andò avanti fino al 1953, quando scomparve, subito gli subentrarono i figli Evelio (Elio) e Antonio (Toni) che con frequenza bisettimanale rifornirono il paese con continuità. Evelio morì nel 1996 il fratello continuò fino alla primavera 2000, quando si ritirò in pensione chiudendo sia il negozio che gestiva a Cismon sia il servizio nelle varie frazioni d’Arsiè. Quindi la famiglia Ferraro portò frutta e verdura a Incino per 50 anni esatti. Altri fornitori che si ricordano sono Nani Nelo, Bepi Mosana e più recentemente Toni (Napoletan)

2003 il 10 maggio una Ford Sierra che stava salendo da Cismon verso Incino nei pressi della Pala della Renga, dopo aver divelto alcuni paletti e tranciato due cavi d’acciaio messi a protezione, precipita nel torrente Cismon dopo un volo di 40 metri, perdono la vita due giovani di Rocca: Matteo Riosa ventiquattrenne e Andrea Brandalise venticinquenne, allora residente ad Incino. Non si ricorda prima di allora alcun incidente in quel luogo Anche quando la strada era priva di protezioni. La Strada Incino-Cismon è interdetta al traffico per 17 mesi, sarà riaperta, a fine ottobre 2004 dopo la messa in sicurezza del tratto di competenza del comune d’Arsiè. L’Estate di quest’anno è la più torrida che si ricordi a memoria d’uomo.

2004: il 20 giugno perdono la vita in un incidente stradale presso Pederobba, Elia Fantin ottantunenne originario d’Incino e la moglie Pierina Canessa settantottenne originaria di Rapallo. Sposati nel 1966 dopo diversi anni d’emigrazione in Svizzera rientrano in Italia e divennero instancabili evangelizzatori nella congregazione dei Testimoni di Geova, protagonisti e pionieri prima a Belluno e poi a Feltre, Elia era stato a lungo sorvegliante (vescovo) ed era conosciutissimo in tutto il Feltrino per la instancabile promozione della sua fede.

14 luglio: Zancanaro Maddalena lascia il paese per la casa di riposo d’Arsiè. La notizia è banale, ma così Incino scende sotto i 20 abitanti, ora siamo in 19, purtroppo destinati a scendere ancora. Da notare che giusto cento anni fa Incino contava 517 abitanti, in un secolo esatto il paese ha perso il 97% dei suoi abitanti.

2005: 24 febbraio, Moretti Gelindo lascia il paese per la casa di riposo d’Arsiè, ora gli abitanti sono 18. A fine ottobre è terminata la costruzione della strada silvo-pastorale che dai Porteghetti di Cismon del Grappa porta sul monte Grappa, la strada si snoda dirimpetto ad Incino.

2006 tra i giorni 26, 27, 28 gennaio, cade su Incino una supernevicata, tra i 130-140 centimetri di neve, pesanti i disagi soprattutto per liberare le vie interne del paese. In aprile l’amministrazione Faoro fa posizionare centinaia di metri di guard rail lungo la strada per Rocca.

Agosto: è ristampata la seconda edizione della storia d’Incino, la prima vide la luce nell’agosto del 2004, ora si è cercato di integrarla inserendo tutte le notizie reperibili, è la storia del nostro paese sperando che nel leggerla lasci un brivido, quello che Incino era e ora non è quasi più.

Settembre: è ritinto gran parte dell’interno della chiesa, il lavoro è eseguito dalla ditta Guidolin di Fastro; il 30 settembre nella chiesa di Incino, celebrante Don Sandro, si uniscono in matrimonio Paolo Borsa (figlio di Dario) con Marta De Mattia di Conegliano Veneto.

2007 si assiste a uno degli inverni più miti degli ultimi trent’anni, quasi inesistente la neve, caduta due volte, il 25 gennaio e il 21 marzo, massimo tre centimetri alla volta. In febbraio arriva ad Incino la prima badante, fatto normale altrove, ma qui è una novità assoluta.  10 novembre 2007

2011 l’otto febbraio muore alla casa di Riposo di Arsiè Teresa Zancanaro, aveva 101 anni e 8 mesi, è stata la persona più anziana in assoluto di Incino.  

2013 19 ottobre, vigilia della fiera delle Anime, si tenne il primo raduno dei Zancanaro. A mezzogiorno ad Arsiè presso il capannone si ritrovarono circa un centinaio di persone provenienti da tutto il Triveneto, si fece conoscenza con molti discendenti i cui antenati avevano lasciato Incino da tanti decenni. Dopo pranzo, il raduno continuò ad Incino con una messa e visita al paese.

21  novembre, festa della Madonna della Salute e 110° anniversario della costruzione della chiesa, arriva a Incino il vescovo di Padova Antonio  Mattiazzo per celebrare la Messa alle 15.Per solennizzare l’avvenimento nelle settimane precedenti, si era provveduto a ritingere gran parte dell’interno della chiesa e sistemare i gradini esterni. Malgrado il tempo inclemente ci fu grande concorso di fedeli da tutti i paesi vicini, più di 200 persone affollarono la chiesa, dopo, come ogni anno, seguì un ricco buffet.

2016  -3 luglio  nel 60° di costruzione del capitello di Somanzin vengono benedetti i lavori di recupero del manufatto eseguiti da volontari del luogo. celebra don Alberto Peron con la partecipazione di circa 70 persone.
4 settembre alle Casere vengono inaugurati i lavori di restauro del capitello dedicato alla Madonna, messa celebrata da don Arnaldo Visentin parroco di Arten con il concorso di 45 persone i lavori di restauro furono eseguiti dai f.lli Pierantonio e Renato Zancanaro
21 nov viene celebrata la festa della Madonna della Salute chiesa gremita almeno 125 fedeli con don Alberto celebrante, a seguire il solito sontuoso rinfresco-

Incino
Secondo Angelo Prati, autore del libro: ”Ricerche di toponomastica trentina” Incino trarrebbe il suo nome da uncino ultimo resto di uno sbarramento fatto con una catena daziaria che controllava il passaggio verso il ponte di Cismon. Si ritiene che ai piedi d’Incino, sulla roccia, fosse fissato un anello (s’cioina) con catena, che impediva di passare alle persone e alle merci per ragioni di dazio imposto ora da Venezia ora da Bassano. Gli ultimi dazi da pagarsi al ponte di Cismon furono aboliti il 30 luglio 1622.
La prima realtà storica che documenta l’esistenza del nome, è del 1488, in quell’anno avvenne la prima visita pastorale a Cismon di un vescovo di Padova allora Pietro Barozzi, la relazione, conservata nell’archivio della diocesi a Padova così riferisce: .. mettendosi contro la corrente del fiume, quasi sotto la riva s’incontra un sacello edificato al nome della beata Vergine del luogo che si dice “Pedansin”.
Corlo deriva dal latino corulus diventato col tempo per contrazione “corlus e quindi Corlo. Corulus in latino significa nocciolo pianta che anticamente, per la sua fitta presenza doveva caratterizzare quel luogo, anche se era presente in molte altre parti del comune.
Tanisoi deriva dal latino antico tanis che significava luogo o terreno tra due valli (valle della fontana e valle dei Pedoi).
Pala della Renga, pala vuol dire pendio ripido, mentre renga deriva dal latino arenga che indicava il luogo dove si riuniva un’assemblea comunale o religiosa, vista la vicinanza della chiesetta del Pedancino esistente prima dall’anno 1000 tale assembramento non poteva che essere di carattere religioso.
Pomer il nome dovrebbe indicare l’esistenza di una piantagione di pomer come da dialetto. L’unica cosa certa era che dopo il 1800, il suo nome era Pomari.
Zancanaro
,Derivati: Zanchetta, Zanchini, Zanconato, Zancaner, Cancan, Zancanella….
Diffuso con media frequenza nelle tre Venezie, ha alla base antichi sopranomi. Zanka, Zanketa Zankinus documentati nel d1200 in Emilia, Toscana e Sardegna. Formati da voci regionali diverse spesso incrociate, le più rilevanti sono zanca intesa come gamba, cianca (valida soprattutto per Toscana e Sardegna) il veneto zanca inteso come svolta, piegatura (figurativo: gambe storte, persona storta) e l’emiliano zanch =trampoli, gambe lunghe.
Una traccia visibile porta l’origine Zancanaro a Bergamo, in questo posto il nome si lega a un paesello della Val Brembana tra Zagno e Poscanto detto Grumello dei Zanchi. Si registrano numerosi casati: gli Zancanaro dei Locatelli, ebbero un palazzo in via Tassis (ora via Colleoni) e una grandiosa villa al Gromo  presso Mapello ora la Torre.
Gli Zancanaro de “Mozzi” avevano un palazzo in borgo Pignolo ora via Maffeis, Nel 1500 la porta di sant’Agostino si denominava: baluardo del Zancanaro. Il Calvi nel libro “il Campidoglio dei guerrieri”cita i fratelli Paolo  e Alessandro Zancanaro quest’ultimo combatté all’assedio di Vercelli e a quello di Rochette in Francia e morì nel 1661 come governatore di Padova. In “scena letteraria sempre il Calvi cita due fratelli Zancanaro Basilio e Giovan Crisostomo arrivati al titolo di canonici presso la basilica di san Giovanni in Laterano in Roma
Altre tracce si riscontrano a Cuneo , nel  1735 gli Zancanaro abitavano nella borgata detta “il passatore”. Il casato si estinse con l’ultima superstite Luisa Zancanaro, che ottenne il titolo di contessa di san Giorgio, avendo sposato un alto magistrato del regno di Savoia.
A Bassano gli Zancanaro arrivarono da Pove dove curavano l’estrazione dei marmi, sono ricordati Ambrogio e Bartolomeo Zancanaro. Agli inizi del 1900 Agostino Zancanaro con decreto reale del 9 agosto1926 ottenne il titolo  di barone e l’iscrizione nell’albo d’oro della nobiltà con questo titolo.
Ad Incino la famiglia Zancanaro più numerosa fu quella di Sebastian (nato il 21 febbraio 1739) che da Domenica Zancanaro ebbe 11 figli, l’ultimo Giobatta a sua volta ne generò 10 (era il bisnonno della Brigida).Più recentemente una famiglia con 11 figli fu quella di Zancanaro Antonio (Toni Meneghet morto nel 1931) e Angela (Orna,scomparsa nel 1946).Il primo Zancanaro riportato nel registro dei morti a Rocca è Zancanaro Margherita fu Francesco morta il 28 agosto 1682, seguì Zancanaro Antonio fu Domenico morto il 27 marzo 1683. Dal 1683 al 1879 (196 anni) furono sepolti nel cimitero di Rocca 666 defunti con il nome Zancanaro
Questi i vari casati che si riconducono ai Zancanaro: Cane, Cagne, Cana, Camel, Casata, Cici, Cul, Marinei, Meneghet. Prima dell’inizio del 1800 ci sono già  tre casati riportati nel registro dei morti: Camel, Patacco e Meneghet, di quest’ultimo il primo trascritto è Zancanaro Giacomo nato il 2 luglio 1788 ma era detto Meneghet già il suo bisnonno.
Nardino
Varianti: Nardo, Nardin, Nardon…
Bernardo, Bernardino, Nardino, il nome Bernardo si diffuse in tutta Italia dopo il 1200 per il prestigio e il culto di San Bernardo da Chiaravalle. Bernardo è l’adattamento del nome franco Berinhard, formato dal tedesco antico beran (orso) e harolhd (duro, valoroso). Il significato originale sarebbe orso valoroso o valoroso come un orso. La variante Nardo ha alta frequenza in Lombardia, Nardin e Nardino in Veneto. Dal  1683 al 1879 i Nardino sepolti nel cimitero di Rocca sono stati 237, primo uomo fu Vettor Nardino morto il 14, aprile 1683, prima donna Maddalena Nardino scomparsa il 20 aprile 1685.
Grando
Diffuso in tutta Italia con alta frequenza solo come Grandi in Emilia-Romagna, nel Veneto anche come De Grandi, Grandin ( a Venezia) Granzotto (a Feltre). È la cogmominazione del sopranome grande formato in relazione della corporatura e statura da grande.
Ad Incino i Grando arrivarono dai Berti, nei registri parrocchiali di Cismon risulta che i Grando residenti a Cismon e Primolano erano originari da Incino.
Borsa
Per molti secoli il nome significava operazione commerciale, denaro investito nella compravendita. Trae origine dalla famiglia belga Van De Burse Che a Bruges (Belgio)aveva per prima adibito il proprio palazzo a sede degli scambi, però la voce, attraverso il francese Borse si è imposta solo dal 1700 e significa “colui che porta la borsa”(con il denaro), oggi si direbbe “tesoriere”. Ad Incino il primo Borsa riportato è una donna Agnese Borsa che sposa Giovanni Zancanaro (nato il 13 marzo 1757) da cui ebbe 9 figli, si conosce il nome del padre di Agnese: Michiel. In un documento del 1822 ad Incino vivevano tre famiglie Borsa: di Antonio, Giacomo e Innocente.
Conco –Bani questi due nomi arrivarono ad Incino dopo il 1766 quando la banda di Bano spadroneggiava in tutto il territorio di Arsiè. I nomi intendevano indicare l’origine dei banditi: Conco è un comune dell’altipiano di Asiago mentre Bano indicava il capobanda o un suo stretto amico,questi termini indicavano dove risiedettero al loro arrivo e rimasero fino a oggi in vigore anche quando le loro proprietà furono assorbite dai residenti.
Meneghet deriva da Domenico il termine è un diminutivo e significa piccolo Domenico inteso come un uomo piccolo o di bassa statura. Il primo Domenico
Zancanaro registrato è del 1700.
Martinato, Martinati questi due nomi derivano dal nome Martini salito ad Incino da Cismon dove sono presenti nei registi parrocchiali sin dal 1400, è probabile che la borgata che porta questo nome sia stata edificata da cismonesi che avrebbero dato in nome al proprio casato.
Cenni su altre località a noi vicine:
Arsiè nacque 200 anni dopo Cristo con il nome di Laricetum (terra di larici ) divenne poi Arsetum, Arsedo e infine Arsiè.
Fastro deriva da Fagherastum (luogo di faggi di cattiva qualità). Divenne Fastra nel medioevo poi tramutato in Fastro circa 200 anni fa.
Primolano era Pratum Molanum ( prato paludoso).
Fonzaso era Fons Assium vale a dire fonte d’assi con evidente riferimento alle segherie che lavoravano il legname proveniente dal Primiero flutando lungo il Cismon
Feltre fu fondata dagli etruschi con il nome di Heltre o città di Fel.
San Vito era s. Viti dal nome dell’omonimo santo mentre Roveri deriva da Roborum (terra di roveri)
Rivai anticamente era diviso in due tronconi: Tovio e Sorass, divenne poi Rivalli e infine Rivai.
Belluno deriva dal celtico Belo-Dunum significa città splendente.
Elenco dei curati succeduti ad Incino:
Don Baldassare Girardi dal 1904 al 1908.
Don Luigi Zotti da Roana (Vi) dal 1908 al 1915.
Don Antonio Guerra da Molvena dal 1915 al 1916.
Don Giovanni Rizzolo dal 1918 al 1920.
Don Modesto Zancanaro da Incino dal 1920 al 1923.
Don Pietro Pertile da Campese, dal 1923 al 1928.
Don Federico Mazzocco da Quero dal 1928 al 1930.
Don Augusto Borin da Merlara dal 1930 al 1932.
Don Giuseppe Carraro da Camposampiero dal 1932 al 1934.
Don Angelo Scarpin da Cittadella dal 1934 al 1936.
Don Angelo Rizzo dal 1936 al 1939.
Don Ernesto Zuccato dal 1939 al 1942.
Don Gaetano Zandonà dal 11 agosto 1942 al 28 settembre del 1942
Don Carlo Marini  da Carrè (Vi) dall’ottobre 1942 al novembre 1948.
Don Cesare Zoccoletto dal novembre 1948 ad agosto 1949 ( con solo titolo di vicecurato).
Don Antonio Pavan  da agosto 1949 a giugno 1957.
Don Eliseo Salmaso da giugno 1957 a giugno1960.
Don Bruno Nardo da giugno 1960  ad agosto 1961.
Don Eugenio Alberelli da agosto 1961 a giugno 1967.
In 63 anni sono passati ad Incino 19 curati con una media di permanenza di appena tre anni ciascuno.
Come nel corso di un secolo Incino ha perso quasi 500 abitanti
Anno         abitanti
1904           517
1924            472
1930            500
1935            326
1938            222
1943            303
1949            218
1948            217
1963            181
1967            136
1973              97
1974              92
1987              57
2004              19
2012              15
2017                9
2019                7
bibliografia
Gran parte delle notizie pubblicate in quest’opuscolo a partire dall’anno 1900, sono tratte dagli archivi parrocchiali di Rocca ed Arsiè, sopratutto da due quaderni compilati manualmente dai vari curati, intitolati: Cronistoria Curaziale. Altre fonti utilizzate sono:
Don G. B. Segato, monografia d’Arsiè.
D. Dall’Agnol, Fastro e la sua storia.
Comune di Arsiè, Appunti di storia locale.
F. Nanfara, Arsiè, briciole storiche.
S. Lancerini, la valle scomparsa.
L. Girotto, soldati e fortezze tra Asiago e il Grappa.
Don D. Secco, Cismon.
B. Zilotti, Vado cantando Arsiè.
F. Zangrando, Belluno e la sua provincia
Dal Zio, i capitelli di Arsiè, Fonzaso, Lamon, Sovramonte.
AA.VV. Il Feltrino invaso.
P. Giois, parroci e resistenza nei vicariati di Fonzaso e Quero
A. Sirena, la memoria delle pietre
Incino
Secondo Angelo Prati, autore del libro: ”Ricerche di toponomastica trentina” Incino trarrebbe il suo nome da uncino ultimo resto di uno sbarramento fatto con una catena daziaria che controllava il passaggio verso il ponte di Cismon. Si ritiene che ai piedi d’Incino, sulla roccia, fosse fissato un anello (s’cioina) con catena, che impediva di passare alle persone e alle merci per ragioni di dazio imposto ora da Venezia ora da Bassano. Gli ultimi dazi da pagarsi al ponte di Cismon furono aboliti il 30 luglio 1622.
La prima realtà storica che documenta l’esistenza del nome, è del 1488, in quell’anno avvenne la prima visita pastorale a Cismon di un vescovo di Padova allora Pietro Barozzi, la relazione, conservata nell’archivio della diocesi a Padova così riferisce: .. mettendosi contro la corrente del fiume, quasi sotto la riva s’incontra un sacello edificato al nome della beata Vergine del luogo che si dice “Pedansin”.
Corlo deriva dal latino corulus diventato col tempo per contrazione “corlus e quindi Corlo. Corulus in latino significa nocciolo pianta che anticamente, per la sua fitta presenza doveva caratterizzare quel luogo, anche se era presente in molte altre parti del comune.
Tanisoi deriva dal latino antico tanis che significava luogo o terreno tra due valli (valle della fontana e valle dei Pedoi).
Pala della Renga, pala vuol dire pendio ripido, mentre renga deriva dal latino arenga che indicava il luogo dove si riuniva un’assemblea comunale o religiosa, vista la vicinanza della chiesetta del Pedancino esistente prima dall’anno 1000 tale assembramento non poteva che essere di carattere religioso.
Pomer il nome dovrebbe indicare l’esistenza di una piantagione di pomer come da dialetto. L’unica cosa certa era che dopo il 1800, il suo nome era Pomari.
Zancanaro
,Derivati: Zanchetta, Zanchini, Zanconato, Zancaner, Cancan, Zancanella….
Diffuso con media frequenza nelle tre Venezie, ha alla base antichi sopranomi. Zanka, Zanketa Zankinus documentati nel d1200 in Emilia, Toscana e Sardegna. Formati da voci regionali diverse spesso incrociate, le più rilevanti sono zanca intesa come gamba, cianca (valida soprattutto per Toscana e Sardegna) il veneto zanca inteso come svolta, piegatura (figurativo: gambe storte, persona storta) e l’emiliano zanch =trampoli, gambe lunghe.
Una traccia visibile porta l’origine Zancanaro a Bergamo, in questo posto il nome si lega a un paesello della Val Brembana tra Zagno e Poscanto detto Grumello dei Zanchi. Si registrano numerosi casati: gli Zancanaro dei Locatelli, ebbero un palazzo in via Tassis (ora via Colleoni) e una grandiosa villa al Gromo  presso Mapello ora la Torre.
Gli Zancanaro de “Mozzi” avevano un palazzo in borgo Pignolo ora via Maffeis, Nel 1500 la porta di sant’Agostino si denominava: baluardo del Zancanaro. Il Calvi nel libro “il Campidoglio dei guerrieri”cita i fratelli Paolo  e Alessandro Zancanaro quest’ultimo combatté all’assedio di Vercelli e a quello di Rochette in Francia e morì nel 1661 come governatore di Padova. In “scena letteraria sempre il Calvi cita due fratelli Zancanaro Basilio e Giovan Crisostomo arrivati al titolo di canonici presso la basilica di san Giovanni in Laterano in Roma
Altre tracce si riscontrano a Cuneo , nel  1735 gli Zancanaro abitavano nella borgata detta “il passatore”. Il casato si estinse con l’ultima superstite Luisa Zancanaro, che ottenne il titolo di contessa di san Giorgio, avendo sposato un alto magistrato del regno di Savoia.
A Bassano gli Zancanaro arrivarono da Pove dove curavano l’estrazione dei marmi, sono ricordati Ambrogio e Bartolomeo Zancanaro. Agli inizi del 1900 Agostino Zancanaro con decreto reale del 9 agosto1926 ottenne il titolo  di barone e l’iscrizione nell’albo d’oro della nobiltà con questo titolo.
Ad Incino la famiglia Zancanaro più numerosa fu quella di Sebastian (nato il 21 febbraio 1739) che da Domenica Zancanaro ebbe 11 figli, l’ultimo Giobatta a sua volta ne generò 10 (era il bisnonno della Brigida).Più recentemente una famiglia con 11 figli fu quella di Zancanaro Antonio (Toni Meneghet morto nel 1931) e Angela (Orna,scomparsa nel 1946).Il primo Zancanaro riportato nel registro dei morti a Rocca è Zancanaro Margherita fu Francesco morta il 28 agosto 1682, seguì Zancanaro Antonio fu Domenico morto il 27 marzo 1683. Dal 1683 al 1879 (196 anni) furono sepolti nel cimitero di Rocca 666 defunti con il nome Zancanaro
Questi i vari casati che si riconducono ai Zancanaro: Cane, Cagne, Cana, Camel, Casata, Cici, Cul, Marinei, Meneghet. Prima dell’inizio del 1800 ci sono già  tre casati riportati nel registro dei morti: Camel, Patacco e Meneghet, di quest’ultimo il primo trascritto è Zancanaro Giacomo nato il 2 luglio 1788 ma era detto Meneghet già il suo bisnonno.
Nardino
Varianti: Nardo, Nardin, Nardon…
Bernardo, Bernardino, Nardino, il nome Bernardo si diffuse in tutta Italia dopo il 1200 per il prestigio e il culto di San Bernardo da Chiaravalle. Bernardo è l’adattamento del nome franco Berinhard, formato dal tedesco antico beran (orso) e harolhd (duro, valoroso). Il significato originale sarebbe orso valoroso o valoroso come un orso. La variante Nardo ha alta frequenza in Lombardia, Nardin e Nardino in Veneto. Dal  1683 al 1879 i Nardino sepolti nel cimitero di Rocca sono stati 237, primo uomo fu Vettor Nardino morto il 14, aprile 1683, prima donna Maddalena Nardino scomparsa il 20 aprile 1685.
Grando
Diffuso in tutta Italia con alta frequenza solo come Grandi in Emilia-Romagna, nel Veneto anche come De Grandi, Grandin ( a Venezia) Granzotto (a Feltre). È la cogmominazione del sopranome grande formato in relazione della corporatura e statura da grande.
Ad Incino i Grando arrivarono dai Berti, nei registri parrocchiali di Cismon risulta che i Grando residenti a Cismon e Primolano erano originari da Incino.
Borsa
Per molti secoli il nome significava operazione commerciale, denaro investito nella compravendita. Trae origine dalla famiglia belga Van De Burse Che a Bruges (Belgio)aveva per prima adibito il proprio palazzo a sede degli scambi, però la voce, attraverso il francese Borse si è imposta solo dal 1700 e significa “colui che porta la borsa”(con il denaro), oggi si direbbe “tesoriere”. Ad Incino il primo Borsa riportato è una donna Agnese Borsa che sposa Giovanni Zancanaro (nato il 13 marzo 1757) da cui ebbe 9 figli, si conosce il nome del padre di Agnese: Michiel. In un documento del 1822 ad Incino vivevano tre famiglie Borsa: di Antonio, Giacomo e Innocente.
Conco –Bani questi due nomi arrivarono ad Incino dopo il 1766 quando la banda di Bano spadroneggiava in tutto il territorio di Arsiè. I nomi intendevano indicare l’origine dei banditi: Conco è un comune dell’altipiano di Asiago mentre Bano indicava il capobanda o un suo stretto amico,questi termini indicavano dove risiedettero al loro arrivo e rimasero fino a oggi in vigore anche quando le loro proprietà furono assorbite dai residenti.
Meneghet deriva da Domenico il termine è un diminutivo e significa piccolo Domenico inteso come un uomo piccolo o di bassa statura. Il primo Domenico
Zancanaro registrato è del 1700.
Martinato, Martinati questi due nomi derivano dal nome Martini salito ad Incino da Cismon dove sono presenti nei registi parrocchiali sin dal 1400, è probabile che la borgata che porta questo nome sia stata edificata da cismonesi che avrebbero dato in nome al proprio casato.
Cenni su altre località a noi vicine:
Arsiè nacque 200 anni dopo Cristo con il nome di Laricetum (terra di larici ) divenne poi Arsetum, Arsedo e infine Arsiè.
Fastro deriva da Fagherastum (luogo di faggi di cattiva qualità). Divenne Fastra nel medioevo poi tramutato in Fastro circa 200 anni fa.
Primolano era Pratum Molanum ( prato paludoso).
Fonzaso era Fons Assium vale a dire fonte d’assi con evidente riferimento alle segherie che lavoravano il legname proveniente dal Primiero flutando lungo il Cismon
Feltre fu fondata dagli etruschi con il nome di Heltre o città di Fel.
San Vito era s. Viti dal nome dell’omonimo santo mentre Roveri deriva da Roborum (terra di roveri)
Rivai anticamente era diviso in due tronconi: Tovio e Sorass, divenne poi Rivalli e infine Rivai.
Belluno deriva dal celtico Belo-Dunum significa città splendente.
Elenco dei curati succeduti ad Incino:
Don Baldassare Girardi dal 1904 al 1908.
Don Luigi Zotti da Roana (Vi) dal 1908 al 1915.
Don Antonio Guerra da Molvena dal 1915 al 1916.
Don Giovanni Rizzolo dal 1918 al 1920.
Don Modesto Zancanaro da Incino dal 1920 al 1923.
Don Pietro Pertile da Campese, dal 1923 al 1928.
Don Federico Mazzocco da Quero dal 1928 al 1930.
Don Augusto Borin da Merlara dal 1930 al 1932.
Don Giuseppe Carraro da Camposampiero dal 1932 al 1934.
Don Angelo Scarpin da Cittadella dal 1934 al 1936.
Don Angelo Rizzo dal 1936 al 1939.
Don Ernesto Zuccato dal 1939 al 1942.
Don Gaetano Zandonà dal 11 agosto 1942 al 28 settembre del 1942
Don Carlo Marini  da Carrè (Vi) dall’ottobre 1942 al novembre 1948.
Don Cesare Zoccoletto dal novembre 1948 ad agosto 1949 ( con solo titolo di vicecurato).
Don Antonio Pavan  da agosto 1949 a giugno 1957.
Don Eliseo Salmaso da giugno 1957 a giugno1960.
Don Bruno Nardo da giugno 1960  ad agosto 1961.
Don Eugenio Alberelli da agosto 1961 a giugno 1967.
In 63 anni sono passati ad Incino 19 curati con una media di permanenza di appena tre anni ciascuno.
Come nel corso di un secolo Incino ha perso quasi 500 abitanti
Anno         abitanti
1904           517
1924            472
1930            500
1935            326
1938            222
1943            303
1949            218
1948            217
1963            181
1967            136
1973              97
1974              92
1987              57
2004              19
2012              15
2017                9
2019                7
bibliografia
Gran parte delle notizie pubblicate in quest’opuscolo a partire dall’anno 1900, sono tratte dagli archivi parrocchiali di Rocca ed Arsiè, sopratutto da due quaderni compilati manualmente dai vari curati, intitolati: Cronistoria Curaziale. Altre fonti utilizzate sono:
Don G. B. Segato, monografia d’Arsiè.
D. Dall’Agnol, Fastro e la sua storia.
Comune di Arsiè, Appunti di storia locale.
F. Nanfara, Arsiè, briciole storiche.
S. Lancerini, la valle scomparsa.
L. Girotto, soldati e fortezze tra Asiago e il Grappa.
Don D. Secco, Cismon.
B. Zilotti, Vado cantando Arsiè.
F. Zangrando, Belluno e la sua provincia
Dal Zio, i capitelli di Arsiè, Fonzaso, Lamon, Sovramonte.
AA.VV. Il Feltrino invaso.
P. Giois, parroci e resistenza nei vicariati di Fonzaso e Quero
A. Sirena, la memoria delle pietre

aggiunto all’anno 1942

1942 il 4 bicembre Incino diventa curazia autonoma, recidendo ogni legame con Rocca. La decisione vescovile fu accolta con grande gioia e, se pur con i pesanti limiti imposti dalla guerra fu festeggiata con calore. Qui di seguito viene riportato integralmente il bollettino straordinario, e unico, redatto dal nostro conpaesano Don Siro Nardino

La nuova curazia autonoma di Incino di Arsiè

numero unico 4 dicembre 1942-xx1

Messaggio del vescovo

AL BUON POPOLO DELLA CURAZIA DI INCINO CHE VUOLE SOLENNIZZARE CON PARTICOLARE ESULTANZA LA CONCESSIONE DELL’AUTONOMIA CONCESSA ALLA CURAZIA TANTO AMATA, IMPARTIAMO DI CUORE LA PASTORALE BENEDIZIONE, CON IL VOTO CHE ESSO SI STRINGA SEMPRE PIÙ AL SUO CURATO, CORRISPONDA ALLE ASPETTATIVE DEL CUORE DI GESÙ VIVENDO INTEGRALMENTE IN OGNI FAMIGLIA SECONDO I DETTAMI DEL SANTO VANGELO.

Padova festa di San Carlo 1942    +Carlo vescovo

 

Lettera del curato a tutti i fedeli di Incino

Ai miei diletti parrocchiani,

dopo un brevissimo tempo in cui voi ansiosi aspettavate, in un tormentoso dubbio, il vostro novello Curato, il Signore vi ha esauditi; ed ecomi da due mesi ormai con voi.

Meritavate, o carissimi, che il Signore mi concedesse tanta grazia perché Voi, benché in numero assai esiguo, quasi trascurabile, in confronto anche alle più piccole parrocchie, voi vi sopraelevate per la vostra fede e per il vostro devoto amore al sacerdote di Dio.

I due mesi passati ormai con Voi mi danno pienamente assicurato di questa affermazione.

Innanzi a tanta vostra gentile e devota accoglienza, che cosa vi dirò? Vi ringrazio e vi rinnovo il mio affettuoso e sacerdotale saluto che si estende a voi che mi siete presenti ed in specialissimo modo, ai soldati e immigranti.

Noi formeremo una sola famiglia spirituale, in cui batte un solo cuore e vibra una sola anima cristiana. Il sacerdote che Sua eccellenza Monsignor Vescovo v’ha mandato sa di essere l’ultimo per doti intellettuali a quelli che lo precedettero, ma sente, come i suoi ottimi predecessori, tanto amore per le vostre famiglie e per le anime vostre. Per questo lavorerò, e mi sacrificherò.

E voi? Sono sicuro che mi corrisponderete, che mi seguirete come buoni figlioli, e nel vostro novello Curato autonomo vedrete il buon pastore, il rappresentante di Dio, che vive per il suo gregge.

Ed ora, miei cari parrocchiani, permettetemi che vi dica: facciamo festa, e gran festa.

Oggi la nostra Curazia, per bontà di nostro eccellentissimo Vescovo, non fa più parte alla parrocchia di Rocca; oggi per il suo riconoscimento dell’autonomia, agli effetti ecclesiastici, possiamo considerarla una parrocchia.

Da questo momento Voi vedrete nel vostro curato, il vostro pastore, il vostro parroco: nella nostra Chiesa potranno compiersi tutte quelle funzioni che si compiono nelle chiese parrocchiali; poi, in una parola, potete chiamarvi parrocchiani di Incino.

Consoliamoci e mentre porgiamo il nostro vivissimo ringraziamento a Sua eccellenza Monsignor Vescovo per tanta bontà e passione, non dimentichiamo tutta quella serie di buoni e laceranti curati ed in particolare dell’ultimo, Don Ernesto Zuccato, che hanno tanto lavorato in questa curazia e hanno così luminosamente preparato questo giorno a voi di Incino.

Questo umilissimo numero unico in cui, insieme alla preziosissima parola e pastorale benedizione di Sua eccellenza Monsignor Vescovo, vengono raccolte le principali memorie della nostra curazia, dettate dal nostro carissimo conterraneo, Don Siro Nardino, rimanga a perenne ricordo della nostra fede e dell’opera che voi di Incino avete compiuto a gloria di Dio e a vostro merito.

Il vostro affezionatissimo

Don Carlo Marini cur. auton.

Ricordi….. Memorie

mi sembra ieri, eppure sono passati 46 anni da quel giorno, quando il parroco di Rocca Don Luigi Mocellin , don Marco di Mellame, e il cappellano di Rocca, salivano, un po’ ansanti, per la strada mulattiera della fontana, allora non c’era ancora la strada carrozzabile militare, per recarsi nel piccolo gruppo di case di Incino dove si attendeva per la posa della prima pietra sacra della nuova chiesa. Che festa! Che gioia semplice e commovente!

Non grandi apparati, non ricevimenti di autorità, non sfarzose cerimonie, ma tutto semplice e umile. Uno scavo nel piccolo tratto prospiciente il capitello della Madonna del Pedancino, un grande ammasso di pietre che si estendeva e si allargava a tutta quella parte che sovrastava il prato e la strada Burrion, una corona di buoni montanari che attendevano, nella loro curiosità commossa, la grande cerimonia. E Don Luigi, delegato del cardinale Callegari, vescovo di Padova, bene disse questa prima pietra tolta dal Col di Menat oltre 20 anni prima era stata posta per la costruzione di una chiesa. Ricordo di essere stato presente e tanto presente, perché, bambino di circa cinque anni, curioso come tutti i bambini, feci forza e piccola breccia tra quella folla tanto che mi trovai lì vicino, vicino alla stessa pietra sacra, e piccolo pulcino sotto quasi il mantello di Don Marco Ceccon che si compiaceva di farmi una carezza e di dirmi quasi in tocco profetico: “quando sarà il prete anche tu, allora non si era rimessa nella bella chiesa che si farà” queste parole rimasero come segmenti sepolti, e solo più tardi, quando la profezia fu una realtà, mi sovvenne che mi riapparve tutta la bella e grande cerimonia a cui viene negato questo importante ricordo della mia vita.

Il lavoro-la chiesa

Benedetta è sotterrata la pietra, l’architetto e progettista Nardino Francesco Menegai, e capomastro e direttore dei lavori Nardino Antonio detto Santo, la buona popolazione di Incino si mise tosto al lavoro, e qui notiamo l’entusiasmo e il sacrificio che ha dello straordinario. Gli uomini, parte si prestavano e a preparare le grosse pietre, vero marmo bianco-rigato, tutto estratto con mine dalla casa di Zancanaro Domenico Ampollina, e di Nardino Pietro dei Conchi; parte salirono su per la Mora e le altre montagne per condurre i grossi travi; parte, e con gli uomini e le donne e i fanciulli, provvedevano sabbia greggia e sabbia raffinata dal Cismon.

Non vi erano carri né mezzi di trasporto tanto che tutto, al suono della piccola campanella donata dal parroco Don Mocellin alla buona popolazione di Incino perché servisse a richiamare il popolo quando veniva a farle visita, tutti noi fanciulli correvamo col nostro tradizionale sacchetto e vi scendevamo in frotte su su fino al fondo del Cismon, e carichi di sabbia, salivamo contorti per la difficile mulattiera. Tutta la buona popolazione era mobilitata affinché il materiale di costruzione non mancasse mai agli operai, e in questo entusiasmo di cooperazione e lavoro, non possiamo dimenticare la robusta voce del baffuto “Checo Telta” che di buon mattino gridava: su su, a piovego..

Con questo entusiasmo e concordia di lavori continuarono per circa sei anni durante i quali tutti si prestarono e generosamente. Nella stagione invernale gli emigranti, ritornati dall’estero, preparavano materiale, e nella stagione in cui si poteva continuare il lavoro di muratura, allora erano le donne, le giovani, i fanciulli, e i pochi uomini e vecchi che si prestavano a provvedere il materiale, sabbia, acqua, calze, ai tre muratori lasciati per continuare il lavoro e retribuiti dagli stessi emigranti.

Il 13 dicembre 1902, festa di Santa Lucia, la chiesa era al termine, e di Incino salutava la sua chiesa, che prima di tutto, senza intonaco, senza soffitto, senza porte stabili, ma solo provvisorie, con un altare improvvisato di mattoni e privo di pietra sacra, appariva sommamente bella agli occhi degli buoni Incinesi che non sapevano contenere il loro giubilo e pareva loro un sogno di poter dire: “abbiamo anche noi la nostra Chiesa”. Non sono stanchi i buoni fedeli e pensando che per l’inaugurazione e benedizione necessitava di fare altri sacrifici, altre spese, eccoli all’opera e nel 1903 il coro venne soffittato ed intonacato, si provvede a un altare di pietra a mezzo dello scalpellino Zanchetta di Piove, sicché il 21 novembre 1903, giorno della Madonna della Salute, sotto il cui patrocinio Incino aveva dato principio al colossale lavoro, venne benedetta la chiesa, si celebrò la prima santa messa dal reverendo parroco Don Luigi Mocellin, assistito dal suo cappellano e dall’arciprete di Arsiè Don Valentino Ballasso.

Descrivere quel giorno, per Incino il più memorando e solenne, non sarebbe sufficiente la mia povera penna, ma quella bensì di un poeta, o meglio ancora quella del cuore di tutti i nostri Incinesi che prepararono col più grandi sacrifici quel monumento di fede cristiana, e vissero e videro, con le lacrime della più sentita esultanza, quel giorno. Centinaia di mortaretti facevano echeggiare monti e valli di assordanti e fortissimi colpi, i quali portarono una nota allegra nelle contrade le più lontane. Fuochi artificiali e naturali riempirono le tenebre della notte. Il paesello aveva assunto un aspetto mai veduto; un movimento che veniva da una continua folla di circonvicini montanari che rimanevano ammirati, commossi per questa gente di Incino che, con tanti sacrifici era riuscita a condurre a termine un grande progetto che purtroppo i pessimisti, che mai mancano in ogni tempo, avevano canzonato e deriso.

I primi sacerdoti

per quasi un anno si cominciò a celebrare la Santa Messa alla domenica con sacerdoti, ora di Rocca, di Arsiè, di Cismon, e di altre parrocchie: la popolazione incominciava a gustare il frutto della sua faticosa opera, del suo ideale perseguito con tanta forza di volontà e sentiva tutte le dolcezze della religione cristiana vissuta all’ombra della chiesa. Nel 1905 i capi famiglia d’accordo, mandarono un umile petizione al Vescovo diocesano per avere il sacerdote stabile. La domanda fu accolta e Don Baldassarre Girardi, sacerdote novello pieno di vita e di esuberante zelo, venne, primo curato, a iniziare quella vita spirituale e cristiana che si mantenne sempre viva e forte, anche nei momenti più turbolenti dell’epoca. Il novello curato accolto con entusiasmo ed eccezionale affetto, trovò un terreno fertilissimo in questa terra In cinese per cui tutte le sue iniziative furono tutte eseguite prontamente, venne fatto l’intonaco della Chiesa; si costruì la cappella di Santa Barbara e questo per iniziativa e volontà degli operai che a Incino allora erano molti; vennero provvedute due statue: quella della B.V. della Salute, è quella della Vergine martire Santa Barbara; il campanile che era progredito contemporaneamente ai lavori della Chiesa, ultimato quindi, tre campane buone, squillanti, armoniose portarono una nota di vita a quelli di Incino che piantato rudemente su quel crostone-promontorio sembra vigilare tutta la vallata-gola di Rocca-Arsiè.

Ultimo lavoro compiuto dallo zelante Don Baldassarre fu la canonica. Un palazzo vero e proprio, e se consideriamo dove è costruito, un piccolo castello, tanto è suggestiva la sua posizione, peccato che sia troppo scostato dalla Chiesa, ragione per cui più tardi sarà fatto tu una nuova canonica. Al buon zelante Don Baldassarre che aveva con pietà e il cielo seminato profondamente e efficacemente nel fertilissimo terreno spirituale di Incino, successe Don Luigi Zotti, sacerdote novello, animato da uno spirito di zelo e da una bontà che, accoppiata a una giovialità goliardica, lo faceva tanto a tanto caro, soprattutto ai giovani e agli uomini.

Fu questo un periodo, sotto un certo aspetto aureo per la Chiesa di Incino la quale incominciava a divenire per le funzioni che si compievano, un piccolo Duomo.

Allora Incino aveva i suoi due chierici: Don Modesto Zancanaro, studente di teologia; Don Siro Nardino, studente di liceo; tutti e due pieni di entusiasmo per la loro chiesa che la consideravano come una piccola cattedrale. Quanto ritornavano per le vacanze, la loro opera era indifessa, costante, paziente per aiutare il buon Don Luigi nell’insegnamento della dottrina cristiana, allora, come sempre assai fiorente; e nell’insegnare il canto ai piccoli.

Incino, nel 1909 aveva i suoi pueri corales; i suoi piccoli cantori che, per primi in quei paesi,e tempi, eseguivano, con ammirazione dei circonvicini, la Messa e i Vespri in gregoriano.

Periodo bello quello per Incino che vedeva la sua chiesetta continuamente abbellita per nuovi lavori e provviste. L’intonaco fine, con decorazione semplice, a tutta la Chiesa, fonte battesimale, confessionali, paramenti, arredi e vasi sacri; statue di Santa libera-di Sant’Antonio-Sant’Agnese. Le bandiere delle associazioni e confraternite; ( vi erano tutte e tutte bene affiatate e organizzate). La curazia era in pieno entusiasmo di fede e di pietà cristiana. Ricordo che allora non si faceva funzione, per quanto minima, alla quale non assistesse, si può dire tutta la popolazione. D’inverno allorché ritornavano gli emigranti, era cosa commovente vederli felici nella loro cara Chiesa, ai piedi di Gesù. Ricevevano la Santa Comunione, frequentavano le funzioni e quanto si compiacevano di sentire la parola della fede detta con semplicità e precisione dal loro curato, il caro Don Luigi, il quale non disdegnava, uscito di Chiesa di passare un’ora allegra e beata con i suoi buoni giovani e uomini.

Quanto bene non s’è fatto allora! Quante sante comunioni, quante preghiere, quanti sacrifici, quanto denaro uscito da quei poveri operai di Incino che non hanno altro che una umile casetta e per il rimanente devono emigrare lontano, lontano per sostenere la loro famiglia, e tutto questo per la gloria di Dio!

E quale sarà la ricompensa del Signore per un popolo sì povero, eppure così munifico per il bene per le opere di Dio?

Periodo di prova

La guerra del 1915-1918 chiamata “guerra mondiale” doveva avere ripercussioni non comuni anche nel caro paesello di Incino. Per la sua posizione particolare, come tanti altri paesi posti ai piedi, alle falde del massiccio del Grappa, Incino fu cambiato quasi in una piccola fortezza militare. Dopo varie dolorose vicissitudini, che troppo lungo sarebbe enumerarle e descriverle, Incino rimase invaso. Il nemico austriaco, dopo Caporetto, invasi tutti i territori circonvicini, la sera dell’11 novembre 1917, entrava nel nostro paesello. Io allora mi trovavo, quale aiutante di Sanità a Roma.

Dal novembre 1917 fino al 5 marzo in cui si diede dal comando militare il bando a questa povera gente, nessuno può descrivere i dolori, gli spaventi, le privazioni. La Chiesa ridotta a scuderia; tutti i quadri sacri e qualche altro arredo sacro, le campane, tutto distrutto, profanato; soltanto le statue portate in salvo nelle diverse case, e gli oggetti più preziosi nascosti. Quale desolazione! Tutto disperso, tutto minacciato; e i buoni Incinesi, soli, senza il loro caro sacerdote che avesse a consolare quei pochi vecchi e deboli donne e fanciulli rimasti sotto i più terribili e numerosi pericoli. Ma Iddio vegliava sopra il suo popolo fedele e buono, il quale non dimenticava di pregare, e se non gli era possibile entrare nella sua Chiesa sorta da una fede adamantina, irrorata del sangue di tanti sacrifici, la guardava ancora con la lacrima che unita alla preghiera saliva, saliva, saliva fino al trono dell’altissimo.

E la mano di Dio si manifestò chiaramente perché, malgrado che una bomba, (e fu la prima di gas asfissiante tirata dai Grappa dagli Italiani), calasse nella mezzanotte del 20 novembre 1917 sulla casa ove assieme ai soldati stavano pregando con la loro mamma, tre innocenti figlioli, e scoppiando avesse a dare la morte ai soldati, lascino intatta quella famiglia orante in mezzo a 12 animali che cadevano oppure essi. Un altro fatto in cui è manifestata la speciale protezione di Dio per Incino, un forte ammasso di bombe di ogni calibro e genere, di preferenza asfissianti, era stato posto dal nemico proprio nella vigilanza delle case, (Casa Camel). Un obice italiano venuto dai Grappa colpì a pieno. Si sviluppò tosto un incendio e, dopo pochi minuti: uno scoppio, una detonazione tale da far crollare buona parte delle case; schegge di ogni dimensione gettati in aria e a ogni direzione; grida strazianti di morte, sangue, sangue e sopra il cielo annerito da un’immensa colonna di fumo levatasi dall’incendio e dallo scoppio. Quale momento terribile per Incino! Sopra quel cratere, in mezzo ai soldati feriti, morti, tanto inferno, con una desolazione senza nome, si guarda, si corre dagli Incinesi quasi impazziti, chi in cerca del figlioletto, chi del fratellino, chi della madre, del padre, del parente, e oh prodigio! Una sola vittima in mezzo a tanti soldati: il caro e buon Michele Zancanaro.

Periodo duro, durissimo quello del 1915-1918 ma Incino non perdette nulla della sua fede e confidenza in Dio; e se mancava il sacerdote, e se la Chiesa non più gli serviva, perché anch’essa ferita, devastata, pure anche nei dolori e nelle più dure privazioni, pensava ad un domani,quando venuta la pace, avrebbe ridonato al Signore con nuova generosità le opere distrutte.

Nuova ripresa

Nel dopoguerra Incino ebbe una nuova fisionomia. Sempre buono e fedele al Signore, rientrati gli Incinesi, trovarono tutto rovinato, sconvolto: case, chiesa, campi ecc. si iniziò il lavoro di sgombero, di ricostruzione, sicché nel periodo di un anno e pochi mesi quasi tutte le case erano sorte. E la Chiesa e il sacerdote? Anche per questo si pensò, anzi fu il primo pensiero degli Incinesi che in primo tempo aggiustarono un po’ alla meglio la Chiesa; si rimisero a posto le statue, furono provveduti a mezzo del chierico D.Siro, diversi paramenti e arredi sacri necessari, i pochi rimasti nell’anno di guerra erano quasi tutti rovinati, fuori uso.

Ed intanto si domandò al Vescovo un sacerdote, che venne. Don Giovanni Rizzolo, sacerdote semplice, buono, per la sua età, contava più di sessant’anni, non poté esplicare quell’azione dinamica necessaria allora, su cui però la buona volontà dei curaziali che, a mezzo di una cooperativa locale di lavoro, si interessò perché il genio militare avesse a rimettere la Chiesa. I lavori vennero fatti specialmente nel periodo in cui fu curato il nostro conterraneo Don Modesto Zancanaro. In questo periodo vennero anche iniziate le trattative per la costruzione della nuova canonica; costruzione effettuata specialmente per la liberalità del nostro Don Modesto il quale cedeva la sua casa paterna per tale scopo. Il lavoro fu eseguito nel tempo che fu curato Don Pietro Pertile; così pure vennero rifatte a spese del Ministero delle Terre Redente le tre campane (1928), inferiori alle vecchie per timbro, sonorità e materia, il peso (q.6,50) uguale. Da questo momento la curazia di Incino assume una nuova fisionomia, tutti i curati che si succedono portano un risveglio continuo nella vita spirituale, nell’attività veramente encomiabile per cui la Chiesa fu provvista di suppellettili sacre in quantità e qualità più che ordinaria.

Alla cappella di Santa Barbara se ne aggiunse una seconda dedicata al Sacro Cuore di Gesù e ciò per ricordare una piccola edicola, di data immemorabile, dedicata alla Madonna del Pedancino, situata dinanzi all’attuale casa di Zancanaro Giuseppe fu Michele. E finalmente un quarto altarino con una magnifica statua della Madonna del Pedancino, munifico regalo di Zancanaro Angelo Scarpèr. La decorazione ultima fatta da Don Augusto Borin, i stalli in noce del coro, eseguiti da Don Ernesto Zuccato, danno alla bella chiesa di Incino un aspetto delicato, signorile e raccolto, si dà renderla degna di un importante paese.

Ultimo e luminoso atto….

Ed era ben giusto che questo popolo che conta ora appena 250 abitanti, (prima della guerra del 1918 erano 500) fosse premiato e soddisfatto anche da un suo legittimo e santo desiderio. La curazia di Incino quantunque non fosse ancora dichiarata giuridicamente sussidiaria dalla parrocchia di Rocca, ha goduto sempre una certa indipendenza nella esplicazione dei suoi spirituali atti e ciò per difficoltà della lontananza dalla chiesa parrocchiale, indipendenza che si accentuò quasi in una forma giuridica quando nel 1929 con decreto Vescovile, veniva dichiarata curazia sussidiaria. Ma si sapeva ormai da tutti che era necessario, per tante ragioni, di giungere all’ultimo atto, quello che doveva definitivamente sistemarla anche giuridicamente. E il 21 luglio 1942 veniva il decreto ufficiale della curia episcopale con il quale la curazia di Incino era elevata a curazia autonoma. Un atto di squisita bontà del nostro Vescovo che nella sua eccezionale attività pastorale, ha voluto ricordare Incino con un’ attestato del suo amore e della sua ammirazione. Ricordiamolo e lo ricordino i nostri figli. E vada anche un ringraziamento a tutti Curati passati, e in particolare allo zelante curato Don Ernesto Zuccato per quell’intricata prestazione che svolse per arrivare a quello che si può chiamare il massimo e più meritato atto: la sistemazione economica della curazia, per cui oggi, possiamo salutare la curazia di Incino come una vera parrocchia.

La sorgente…

Chi legge queste poche memorie-ricordo, che io, perché testimone, poveramente mi sono permesso di riprodurre su questo numero unico nel giorno della solenne inaugurazione della nuova Curazia autonoma, si domanderà: dove hanno potuto gli Incinesi trarre tanti mezzi finanziari per compiere tutte queste opere che hanno del sorprendente?.

La fonte, la sorgente che ha alimentato quel popolo nelle opere di Dio fu unica: la fede. La sede semplice umile, forte e incrollabile come la roccia sopra cui staziona Incino, fu la ispiratrice dei più grandi sacrifici, e da questa inesauribile sorgente sono uscite delle somme vistose a tal punto da mettere meraviglia.

Sempre così in ogni luogo, in ogni tempo! Le opere che formano la meraviglia di tutti i secoli che lei contempla sono sempre frutto della fede e dell’amore di Dio.

A Voi, miei cari compaesani, vada l’encomio e la lode che gli viene dal mondo, ma più ancora da Dio che ha premiato molti dei nostri padri, e che certamente riserverà anche a voi le sue benedizioni nel tempo, il premio nell’eternità. Se voi conserverete la fede ed, operosa, la tramandarete ai vostri figli.

Benefattori

Benefattori insigni! Tutti Incinesi, perché tutti hanno dato quanto si può dare. Non possiamo però, senza far torto ad alcuno, tralasciare alcuni dei nostri cari paesani che furono la mente, la guida, il fermento di tutti Incinesi: ricordiamo perciò:

Nardino Francesco Menegai, progettista, l’architetto.Taceva sempre, lo ricordate? Sempre con la sua testa bassa, pensieroso, schivo da tutte le assemblee, e schiamazzi, intento solo, sembrava, a curare il suo Saccon: eppure, quante notti passate sulla carta per disegnare, per calcolare ecc..! Egli è stato tutto per Incino, e noi non lo dimenticheremo.

Nardino Antonio-Santo, capomastro, direttore dei lavori.

Ecco un’altra copia di Menegai, serio, serio ma più maestoso; si imponeva col suo fare senatoriale. Anche lui, poche parole, almeno così vedevamo noi, allora fanciulli, che ci accontevamo solo di non ricevere uno scapaccione, tanto eravamo lontani di pretendere da lui un complimento o parola. Eppure chi può misurare la portata della sua prestazione per la Chiesa?

Menegai e Toni Santo

ecco i due nomi che noi dobbiamo scolpire a caratteri d’oro nella storia del nostro paesello, e sotto questi due nomi scriviamo ancora molti e molti altri. Voglio anzi dire tutti i capi famiglia dell’epoca nostra gloriosa, che non nominiamo perché lo spazio non ce lo consente. Saranno però scritti nel nostro cuore, ricordati nelle nostre preghiere.

Avvenimenti importanti

La curazia di Incino ebbe due regolari visite pastorali: la prima nel 1930 fatta da Sua Eccellenza ill.ma e Rev.ma Mons. Elia Dalla Costa, ora arcivescovo cardinale di Firenze; l’altra nel 2 dicembre 1935 da S. Ecc. ill’ma e Rev.ma Monsignor dottor Carlo Agostini. Prima di queste due importanti visite, la curazia fu visitata dal Vescovo di Padova, Sua Ecc. mons. Pellizzo, ma di queste visite non rimane alcuna relazione, al contrario le due sopra accennate, lasciarono oltre la relazione che si conserva nell’archivio curaziale, una impronta a memoria non comune, specialmente l’ultima. Oltre le solennità ricordate nelle memorie, ricordi: l’inaugurazione e benedizione della Chiesa (1903). Prima festa della Madonna della Salute (1906), notiamo le feste decennali in onore della B.Verg. della Salute. La prima nel 1927, l’altra nel 1937. In queste solennità Incino ha dimostrato un entusiasmo di preparazione e festeggiamenti tali da emulare le grandi feste dei grossi centri. Nel 1911 Incino festeggiava il suo primo figlio sacerdote: Don Modesto Zancanaro, più tardi parroco di Codevigo e quivi morto all’età di anni 50. Fu veramente una prima gloria dell’umile paesello, uomo di pietà profonda, di cuore generoso e delicato, infaticabile missionario del Vangelo, ha veramente meritato per il bene compiuto nella parrocchia ove fu Pastore, e a noi suoi concittadini, ha lasciato i più cari ricordi di una gioventù tutta bontà, e di una vita sacerdotale tutta sacrificio.

Nel 1922 nuovamente il nostro paese salutava un secondo figlio sacerdote: Don Siro Nardino, parroco ora di Borgo San Zeno di Montagnana. Che il Signore lo conservi: ad multos annos perché semini abbondantemente nel suo ministero sacerdotale.

ai soldati e emigranti

Voi, o soldati che state compiendo in quest’ora gloriosa e dura il vostro dovere per la diletta Patria, e Voi emigranti, separati per una necessità dalle care vostre famiglie e dal natio paesello, vivete in questo giorno luminoso uniti con noi. Vi pensiamo, vi ricordiamo con affetto, perché siete i nostri figli che non smentite, anche lontani e in mezzo ai pericoli, la nostra incrollabile fede.

Vostro compaesano: Don Siro Nardino

parroco di B.S. Zeno di Montagnana.

Elenco dei curati

1. Don Baldassarre Girardi 1904-1908

2. Don Luigi Zotti 1908-1915

3. Don Antonio Guerra 1915-1916

4. Don Giovanni Rizzolo 1918-1920

5. Don Modesto Zancanaro 1920 1923

6. Don Pietro Pertile 1923-1928

7 Don Federico Mazzocco con 1928-1930

8 Don Augusto Borin 1930-1932

9 Don Giuseppe Carraro 1932-1934

10. Don Angelo Scarpin 1934 1936

11 Don Angelo Rizzo 1936-1939

12 Don Ernesto Zuccato 1940-1942

13 Don Carlo Marini 1942

 

Programma della festa

della nuova curazia autonoma

di Incino

1-2-3 dicembre, triduo solenne, al mattino e alla sera predica; al mattino-mezzogiorno e alla sera suono delle campane

4 dicembre prima messa-comunione generale 7.00.

seconda messa-letta-9.00.

terza messa solenne-cantata-11.00.

Nel pomeriggio-ore 2,30 vespri solenni con discorso del compaesano Rev. Don Siro Nardino- parroco di B. San Zeno.

Te Deum, benedizione eucaristica, ricevimento in canonica delle autorità del Comune.

per contattare l’autore: zancanaro.walter@yahoo.it